Ospitiamo un articolo del padre domenicano Giovanni Cavalcoli, noto teologo ed autore, sul tema della liturgia. Consigliamo la lettura dell’ultimo libro di padre Cavalcoli, “Dio non esiste? Ateismo e salvezza”, un testo denso e importante sul tema sempre attuale dell’ateismo.
La liturgia è un servizio pubblico
Liturgia è una parola che ha un’illustre storia ed un nobile significato. Deriva dal greco leiturghìa, parola composta da leitos=pubblico e ergon=lavoro. Leitos ha rapporto con laòs, popolo. Si tratta di un servizio pubblico, di un’opera a favore del bene comune. Presso i Romani il servizio sacerdotale è espresso con la parola ministerium o officium. Il sacerdote è un ponti-fex, il ponte di comunicazione fral’uomo e Dio.
È insita nell’uomo la coscienza di aver peccato contro Dio e il desiderio di ricevere il suo perdono, per cui sente il bisogno di far qualcosa per placare l’ira divina ed ottenere grazia. La virtù che induce l’uomo a compere un’azione espiatrice, una expiatio, è la pietas, ossia la virtù di religione, per la quale l’uomo è pius, al contrario dell’impius, che disprezza questo dovere.
Il sacerdote è il mediatore fra Dio e l’uomo, che presenta a Dio le richieste dell’uomo e comunica all’uomo la grazia di Dio. Nel culto divino, che è l’offerta del sacrificio, l’uomo sale a Dio e Dio scende sull’uomo. Sicchè il culto è ad un tempo opera dell’uomo ed opera di Dio.
Presso i Greci la liturgia è l’ufficio sacerdotale, che comporta il compito di offrire agli Dèi sacrifici a favore del popolo. Aristotele ne parla trattando del ministero dei sacerdoti (Politica, VII, 9). Egli parla anche della «liturgia per gli Dèi» (Politica, III, 10-11; VII, 13).
Presso i Romani, ciò che riguarda Dio è il sacrum. Ciò che riguarda l’uomo è il profanum. Il sacerdote è l’uomo del sacro, il sacrum-dans, colui che, scelto da Dio e con un potere divino, mediante un’azione sacra, il sacri-ficium, sacrum-facio, checomporta l’offerta di una vittima di espiazione, o facendo un qualcosa di sacro, cioè il sacramentum, («fate questo in memoria di me»), purifica il popolo dal peccato e lo riconcilia con Dio colui che trasmette da parte di Dio al popolo il sacrum, ossia una vita divina.
La liturgia è dunque un interesse comune, un bene comune, a vantaggio di tutti nelle cose che riguardano Dio. Lo Stato è tenuto a riconoscere questa cosa, senza che per questo sia obbligato a scegliere la religione cristiana per il fatto che essa è la migliore di tutte («religione di Stato»), come un tempo la Chiesa pensava. Ma è sufficiente, comunque, e necessario, che lo Stato riconosca la libertà religiosa, ossia il diritto di ogni cittadino di seguire quel culto divino che gli è dettato dalla propria coscienza. Per quanto riguarda l’ateismo, lo Stato concede libertà anche agli atei, ma a patto che non vilipendano la religione, non importa quale, purchè questa religione non rechi danno a quel bene comune temporale, del quale è dovere dello Stato aver cura.
Lo Stato, dal canto suo, non può essere ateo nel senso di proibire la pratica religiosa o di voler abolire la religione, perché al contrario la pratica religiosa fa parte di quel bene comune del quale lo Stato si deve occupare. Tuttavia, la scelta della religione da seguire è affare privato dei singoli cittadini o comunità religiose presenti nello Stato.
Il libero esercizio della religione (la liturgia) è bene pubblico. La singola religione scelta dal cittadino è, agli occhi dello Stato, un bene privato di quel cittadino, del quale assicurare l’esistenza e la difesa da eventuali attacchi da parte di altri privati o gruppi col pretesto o senza pretesto della religione.
La liturgia è ufficio del sacerdote
Nella Scrittura, come del resto anche in altre religioni, il servizio divino è compito del sacerdote ed è espresso col sostantivo abodà (servizio) o col verbo seret (servire).Nel nuovo Testamento è presente la parola diakonìa, servizio. Il sacerdozio cristiano, ovvero il sacramento dell’Ordine è partecipazione allo stesso Sacerdozio di Cristo, per il quale la vittima offerta a Dio è lo stesso sacerdote. L’atto liturgico o sacrificio cultuale col quale si attualizza incruentemente il Sacrificio di Cristo è la Messa.
Il sacerdozio non è un ufficio che possa essere oggetto di una iniziativa, scelta o decisione personale, come qualunque ufficio o servizio sociale, ma, trattandosi di un potere che proviene da Dio ed è quindi un compito che l’uomo non può assegnare a se stesso, né può essergli semplicemente conferito da altri, occorre che il soggetto sia scelto e chiamato tra gli altri da Dio.
Come è noto, la Messa è stata sostituita da Lutero con la semplice Memoria dell’Ultima Cena, mentre è stata conservata dagli Ortodossi, nonostante lo scisma del 1054. Lutero ha inoltre sostituito il dogma della transustanziazione eucaristica con la sua assurda idea della «consustanziazione» o «impanazione».
Inoltre Lutero, come è noto, ha abolito il sacramento dell’Ordine e lo ha sostituito col semplice sacerdozio comune dei fedeli, fondato sul Battesimo. Ne viene che il ministro – il cosiddetto «pastore» - non è ordinato e incaricato dal Vescovo percelebrare la Messa, ma è la stessa comunità, secondo Lutero, ad avere la facoltà di scegliere il ministro della Cena, come in democrazia il popolo sceglie i governanti.
Lutero dimenticò che in realtà, è Cristo che sceglie il sacerdote e il compito della comunità è quello di accogliere con fiducia il ministro ufficiale, il sacerdote, regolarmente ordinato e inviato dal Vescovo.
Secondo la volontà di Cristo comunicata a S.Pietro, occorre, cioè, che il ministro,affinchè sia abilitato alla celebrazione della liturgia, abbia ricevuto una vocazione divina, debitamente riconosciuta e convalidata da coloro, che rappresentano Cristo sacerdote e continuano la sua opera, cioè i Successori degli Apostoli in comunione col Papa.
Costoro, che già svolgono il ministero sacerdotale dai tempi di Cristo, hanno l’ufficio esclusivo, per volere di Cristo, di riconoscere l’autenticità della vocazione ricevuta dall’aspirante, col il compito di ordinarlo sacerdote, ove tale vocazione sia dovutamente verificata. Per questo, nessuno del popolo può assumersi da sé il compito di compiere un atto proprio del sacerdote, se non è sacerdote, né può essere incaricato dallo stesso popolo.
La liturgia cattolica è stata così definita da Pio XII nell’enciclica Mediator Dei del 1947: «il culto pubblico che il nostro Redentore rende al Padre, come Capo della Chiesa, ed è il culto che la società dei fedeli rende al suo Capo e, per mezzo di Lui, all'Eterno Padre: è, per dirla in breve, il culto integrale del Corpo mistico di Gesù Cristo, cioè del Capo e delle sue membra».
L’atto supremo della liturgia cattolica è la celebrazione della Messa
La parola «Messa» viene dal verbo mittere e precisamente dalle parole conclusive Ite, missa est, parole che propriamente non vogliono dire «la Messa è finita», ma «l’offerta è mandata», ossia: potete andare, perché ho inviato al Padre l’offerta. Che cosa il sacerdote ha mandato al Padre? Quale offerta? Lo stesso Cristo, offertosi al Padre nella Messa.
Infatti la Messa è incruentemente lo stesso Sacrificio eterno, che Cristo sommo Sacerdote e Pontefice della Nuova Alleanza fà di Sé al Padre nello Spirito e che il sacerdote compie agendo in persona Christi, per cui, in questa sua sacra funzione - ecco la liturgia – ha il potere di offrire Cristo al Padre, in quanto nella Messa Cristo si offre al Padre.
Cristo, come dice Pio XII nell’enciclica Mediator Dei siede alla destra del Padre, in cielo, resta sempre il Celebrante, mentre il sacerdote non è che l’umile ministro umano, benché peccatore, del divin Sacrificio. Lutero non ha capito che la Messa non è atto del sacerdote, ma atto di Cristo. Non è un sacrificio offerto dal sacerdote che si aggiunga a quello di Cristo, ma è lo stesso Sacrificio che Cristo offre di Se stesso al Padre.
La Messa nel suo ordinamento (ordo Missae) è un succedersi di atti o elementi, la cui logica è la seguente: lettura della Scrittura, che induce grazie all’omelia alla meditazione di ciò che sta per compiersi, professione di fede, offerta del pane e del vino che verranno consacrati, canone della Messa o preghiera eucaristica, contenente la memoria dell’ultima Cena, consacrazione delle offerte, comunione eucaristica, ringraziamento.
Ornamento importante e spiritualmente formativo della Messa, espressione significativa della devozione eucaristica, accanto ai minuti di silenzio durante e dopo la Messa, dedicati all’adorazione, alla lode e al ringraziamento, sono il canto liturgico e la musica sacra.
Bisogna distinguere accuratamente l’essenza della Messa dal rito della Messa, dall’ordine (ordo) della Messa e dal cerimoniale della Messa. L’unica cosa di immutabile nella Messa è la sua essenza, che si riassume nelle parole della consacrazione dei pane e del vino, così come Cristo ha comandato di fare.
La determinazione di tutto il resto della struttura e degli elementi integranti della Messa Cristo lo ha affidato al potere ecclesiale di santificazione, il cosiddetto «potere delle chiavi», ossia alla prudenza pastorale, giuridica, liturgica e disciplinare della Chiesa, dove essa può cambiare o mutare come ritiene bene secondo i tempi e i luoghi.
Il rito della Messa è il modo di celebrare la Messa secondo l’uso di Chiese locali, come per esempio il rito ambrosiano o slavo o siro-malabarico o copto o di particolari istituti, come il rito domenicano. Solo il rito romano è universale. Con la riforma liturgica attuata per volontà del Concilio Vaticano II, la Chiesa ha sostituito il vetus ordo risalente alla riforma tridentina col novus ordo, senza che il primo sia abolito, ma celebrato alle condizioni poste dall’attuale Pontefice.
Il cerimoniale è l’insieme degli atti, degli usi, dei gesti, degli atteggiamenti movimenti del corpo, dei simboli, dei tempi e delle formule di rito col quale e seguendo il quale il celebrante in eventuale compagnia di concelebranti, assistito eventualmente dal diacono, dal lettore e dall’accolito, celebra la Messa o presiede alla concelebrazione.
È un modo sbagliato di concepire la liturgia quella di intenderla come se fosse una rappresentazione teatrale e si trattasse di recitare una data parte per un motivo puramente estetico. Che la liturgia debba essere improntata ad una sobria bellezza, che il ministro debba esprimersi così da far capire che crede in quello che dice con i gesti e col tono della voce, non c’è dubbio, che il tempio, l’altare, gli arredi, gli oggetti sacri e i canti debbano essere belli, non c’è alcun dubbio.
Ma il ministro deve tener presente che non sta recitando un copione a mo’ di svago,ma sta compiendo un’azione sacra serissima, che coinvolge Dio, il mondo, l’eterno suo destino e quello dell’umanità, il cielo e la terra, fa esultare gli angeli e terrorizza i demoni, converte i cuori, libera le anime e stupisce i dannati dell’inferno.
Il Concilio Vaticano II insegna che «la liturgia è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua virtù» Costituzione Sacrosanctum Concilium, n.10).
Qui evidentemente la liturgia viene vista in stretta unione con la contemplazione, giacchè è questa il vertice di tutta l’azione della Chiesa. Infatti, la liturgia appartiene all’ordine del fare, è atto eccelso della virtù di religione ed è, come insegna S.Tommaso (Summa Theologiae, II-II, q.81, aa.4-5), atto supremo della virtù di giustizia, per cui rendiamo a Dio quello che Gli è dovuto.
Ora il fine dell’azione cristiana, come notano bene Jacques e Raissa Maritain nel loro libro Azione e contemplazione, è l’unione di carità con Dio che si realizza nella contemplazione, per la quale, come dice il Salmo, «vediamo e gustiamo quanto è buono il Signore» (cf Sal 34,9). Ad ogni modo è chiaro che è nella liturgia che noi riceviamo quell’alimento di vita soprannaturale, che suscita in noi quella carità che fin da questa vita ci fà pregustare la gioia della vita eterna.