Padre, il nostro parroco ha l’abitudine di infarcire il rito della Messa con varie introduzioni e discorsi che non sarebbero previsti nel rito stesso. Ma è davvero necessario? Continuare ad offrire spiegazioni e piccole omelie qui e là, non è segno di sfiducia verso l’efficacia del rito preso in sè? (Lettera firmata)
"I riti splendano per nobile semplicità; siano chiari per la loro brevità e senza inutili ripetizioni; siano adatti alla capacità di comprensione dei fedeli e non abbiano bisogno, generalmente, di molte spiegazioni" (Sacrosanctum Concilium n. 34).
In questa disposizione conciliare vi è la risposta alla domanda qui inoltrata.
La Chiesa chiede che i riti liturgici vengano rispettati nella loro natura simbolica e nella loro efficacia diretta. Essi per la loro intima struttura hanno la capacità di comunicare il mistero senza bisogno di continue e fastidiose spiegazioni. La liturgia, infatti, è un meraviglioso complesso di simboli che comunica le realtà soprannaturali mediante un ampio ventaglio di codici espressivi, per lo più di immediata comprensione.
L' "ars celebrandi" (arte del celebrare) è la capacità del sacerdote, dei ministri, della schola e della stessa assemblea di porre in modo corretto e sacro: i riti, i simboli, le azioni, i silenzi e le orazione in modo che da se stessi parlino direttamente e immediatamente ai fedeli convocati per la celebrazione.
Il rito non può essere interrotto con chiose o commenti di sorta. In tal caso si rivelerebbe la sfiducia nel rito stesso e nella sua intrinseca capacità di comunicazione.
Certo, vi è pure la necessità di educare alla liturgia e di introdurre i fedeli nel significato dei suoi simboli, ma questa istruzione deve avvenire fuori della celebrazione in ambito catechistico.
Inoltre è bene ribadire che il compito di introdurre i fedeli nel significato del rito, che si sta celebrando, è proprio dell'omelia in conformità all'antica tradizione dei Padri.
Ebbene col ricorso alla catechesi extra liturgica e con l'uso competente dell'omelia mistagogica si può arrivare a disinnescare quella “sermonite” che tanto disturba le nostre attuali celebrazioni.