Devo spiegare innanzitutto il mio tipo di contatto con l’oggetto/soggetto di quanto seguirà.
Non ho mai incontrato direttamente Divo Barsotti, ma l’ho incontrato “indirettamente” e talvolta questo tipo d’incontri, non so perché, sono anche più interessanti dell’incontro diretto. Il contatto “indiretto” permette uno spazio mentale in cui si è più liberi di interloquire con l’oggetto/soggetto, talvolta più che nell’incontro diretto. Pensate a quanti contatti indiretti abbiamo avuto nella nostra vita con scrittori, artisti, poeti...non li abbiamo mai incontrati direttamente (in alcuni casi, per fortuna), ma la loro voce risuona in noi con una forza non diminuita da questa circostanza. Talvolta gli incontri diretti sono una delusione. In noi rimane solo l’impressione della miseria umana della persona che incontriamo e che, magari, abbiamo tanto ammirato da lontano. Anche perché basarsi esclusivamente su un incontro diretto per relazionarsi con l’altro è in un certo modo impoverente, tutto verrebbe incentrato nel mero materialismo della fisicità. Quante volte si è ammirato il vigore intellettuale di qualcuno per poi doversi accontentare della miseria umana, che tutti ci attanaglia e costringe. Forse l’incontro diretto con padre Barsotti mi avrebbe fatto toccare la sua santità o forse le mie attese avrebbero tracciato un percorso obbligato che avrebbe fatto deragliare la verità, parola spesso persa in rivoli insensati.
Ora, nella mia accezione, per incontro “indiretto”, intendo che i due termini dell’incontro non si incontrano fisicamente, per ragioni di distanza o temporali (come con autori nati secoli prima di noi). Il mio incontro con Divo Barsotti è stato “indiretto”, ma una certa forma di contatto “diretto”, lo ammetto, c’e’ stata. Devo spiegare.
Io sono stato membro del Centro Azione Liturgica, un’associazione che da decenni si occupa della promozione della vita liturgica tra i fedeli. Per un certo periodo sono stato il coordinatore redazionale per la rivista Liturgia, ben nota a chi si occupa di cose liturgiche. Mi occupavo anche delle recensioni, insieme ad altri nostri collaboratori. Ricevemmo un bel libro di Divo Barsotti, Il mistero cristiano nell’anno liturgico ed io m’incaricai di recensirlo. Pagina dopo pagina rimanevo sorpreso dalla densità di quello che andavo leggendo. Non un libro facile, ma un libro semplice. Come può essere qualcosa difficile ma semplice? Questo è possibile, perché il semplice è il principio supremo, la risoluzione dei contrasti, l’unione dei discordi. Per raggiungere il semplice la via è ardua e difficile. Questo mi colpiva in questo autore che fino a quel momento conoscevo solo di nome: la capacità di affrontare la nudità dei concetti, senza sovraccaricarli degli utili artifici che chi scrive, non escluso il sottoscritto, deve spesso spargere a piene mani per supplire alla carenza di ispirazione. Ma questo non era Divo Barsotti.
Divo Barsotti non voleva offrire un trattato, piuttosto un trattamento. Tu eri lì, Lui era lì. Tutti noi dobbiamo giocare un ruolo in questo dramma tragico che è la vita. Ad alcuni toccano ruoli disgraziati, altri giocano con il potere, altri con fama e successo. Ma alla fine tutto questo è apparenza, quello che poi rimane è la vita nuda, la forma non formata, il battito dietro i sospiri. Questo noi vorremmo vedere, ma quasi sempre noi non lo vediamo. Noi guardiamo, ma non vediamo.
Dopo aver letto il libro del Padre (e gli altri che seguiranno, per lo scrivente) non ne sapevo di più, ma di meno. Ma quel meno è esattamente quello che mi serviva per ricevere ciò di cui avevo veramente bisogno. Non possiamo ricevere se prima non ci diamo, se prima non accettiamo che quello che ci appesantisce deve lasciare il nostro io tormentato per fare spazio ad altro.
Questa era per me la lettura dei libri di Divo Barsotti, un viaggio verso l’origine delle parole, un liberarsi del segno per raggiungere la sostanza, un atterraggio nei territori del significato nudo e impudico. È un bagno purificatore, ma la purificazione è spesso dolorosa, perché ci porta a stare sospesi su un abisso. Nel suo bel libro dal titolo La fuga immobile (Edizioni san Paolo), Divo Barsotti usa un’espressione a proposito della Comunione eucaristica: “Ho sentito la Comunione come il gettarsi dell’anima in un Oceano di fuoco” (13/14 Dicembre 1945, pag. 161). Ecco Divo Barsotti.
Dopo la lettura di quelle pagine per la recensione di cui ho parlato sopra, ho voluto approfondire e mi sono messo in contatto con la Comunità dei Figli di Dio, la comunità religiosa che padre Barsotti aveva fondato e in cui lui ancora viveva, molto anziano. Ero curioso di avere qualche forma di contatto “diretto” con questo strano scrittore, questo mistico innamorato della bellezza e della liturgia. Ricevetti una risposta da padre Serafino Tognetti, che sarà superiore della Comunità dopo la scomparsa del Padre il 15 febbraio 2006. Il gentile padre Serafino mi informava che le condizioni di salute del padre Barsotti erano delicate, vista anche la sua età in quel momento, 90 anni. Egli era oramai allettato e io capii che un incontro “diretto” non era semplice. Così chiesi molti libri del padre e su due di essi il padre Barsotti appose la sua firma e la sua dedica. Inoltre mia moglie preparò una bella immagine di mio figlio che allora aveva un anno e gliela spedimmo. Il padre Serafino mi informò che quella immagine fu appesa sulla porta della camera del padre e io spero che lui ci abbia appoggiato lo sguardo per pregare, benedire e proteggere mio figlio nella sua vita futura.
Da quel momento ho cominciato a leggere assiduamente i testi di Divo Barsotti, rimanendone sempre più entusiasta. Anni fa, quando ero impegnato come Professore Associato in una Università di ispirazione cattolica in Macao (Cina), tenni un corso su Teologia ed Estetica e volli presentare ai miei studenti il pensiero sulla bellezza del padre Barsotti. Essendo pubblicato poco o nulla in inglese sul padre, ho dovuto tradurre tutto il materiale dall’italiano in questa lingua. Rileggendo i bei libri in mio possesso ho pensato che presentare la spiritualità liturgica del padre potesse essere utile, ed ecco l’inizio di questa avventura di cui andate leggendo. C’è da dire che dalla prima stesura di questi scritti, qualcosa è stata fatta per la lingua inglese e per gli scritti di padre Barsotti. Mi sembra che l’impresa al momento più significativa è stata quella della pubblicazione in lingua inglese de La Fuga Immobile, che ho curato insieme ad altri collaboratori.
Ora, non vi aspettate un trattamento sistematico. Voglio riflettere con voi su alcuni lampi nel buio, su alcune onde che si alzano imperiose, su alcuni sommovimenti dell’anima improvvisi e forse anche improvvidi: questo per me è Divo Barsotti. Non un sapere propriamente intellettuale, ma un sapere essenziale, un sapere che va alla radice e continua a scavare.
Il suo amore per la liturgia è testimoniato dai vari libri e dalla sua personale vita di fede. Un punto di partenza che ritengo importante è che per Barsotti la realtà unica e vera è Gesù, ma una realtà che a noi sembra assente, anche se è l’unica vera:
“alla Messa pontificale di Sua Eminenza. – Ho visto per visione intellettuale Gesù come una luce che sorgendo si dilatasse così da assorbire in se Firenze, il mondo, le cose, gli uomini - tutto. Non era più alcuna cosa, né uomo – Lui solo” (24 Dicembre 1945, pag. 163 in La fuga immobile).
E’interessante questa “visione intellettuale” che accade proprio nella notte di Natale. Cristo incarnato è la vera e sola realtà. Attraverso la sua Incarnazione siamo partecipi della vera realtà della nostra esistenza. Egli è la vera presenza che abita in noi (Agostino...), quella presenza da cui noi fuggiamo e a cui solo dobbiamo tornare. Così ritrovare Lui significa anche ritrovare noi stessi (ecco la “fuga immobile”, si fugge per ricongiungersi). Questo tema della realtà è oltretutto molto interessante oggi, in tempi in cui parliamo di Intelligenza Artificiale e in cui la scienza si interroga su cosa sia reale e su cosa non lo è. Lo scienziato Donald Hoffman in un suo libro dal titolo L’illusione della realtà, dice che noi non osserviamo la luna per quello che è, ma praticamente l’immagine che vediamo è il nostro punto di vista sulla lunabe la scienza mette insieme questi pinti di vista cercando di tirare fuori una teoria plausibile. Nel libro L’arte del cambiamento di Paul Watzlawick e Giorgio Nardone c’è un idea per cui le diverse realtà che noi viviamo non siano che una nostra costruzione, che in fondo queste realtà non sono veramente “reali”. Eppure tutto questo contrasta con la nostra visione cattolica del mondo in cui san Tommaso d’Aquino ha giocato un ruolo tanto importante. Infatti egli ci insegna che la verità è adequatio rei et intellectus, cioè che all’intelletto è possibile adeguarsi alla realtà delle cose, che quindi esistono al di fuori di noi. Esiste quindi una realtà oggettiva che noi possiamo contemplare. Ma nel pensiero di padre Barsotti, come nel resto in quello di tanti mistici, pur se noi possiamo conoscere la realtà fuori di noi dobbiamo anche riconoscere che esiste una realtà più profonda e più alta, la vera realtà della Presenza (con la P maiuscola).
In quella notte di Natale di cui parlavamo sopra, il Padre si sarà sicuramente soffermato a contemplare la bellezza del Prefazio:
“Quia per incarnati Verbi mysterium nova mentis nostrae lux tuae claritatis infulsit: ut dum visibiliter Deum cognoscimus, per hunc in invisibilium amorem rapiamur”.
Eccolo, qua citato nell’originale latino. La traduzione può essere
“perché, attraverso il mistero della Parola incarnata, una nuova luce del tuo splendore ha riempito gli occhi della nostra mente: così che quando vediamo Dio visibilmente, attraverso Lui possiamo essere rapiti all’amore delle cose invisibili”.
Questo Prefazio sarà più tardi anche alla base di interessanti riflessioni fra Estetica e Teologia per opera di Hans Urs Von Balthasar che, per singolare coincidenza, è l’autore della prefazione al libro da cui la citazione di cui sopra sulla Messa pontificale a Firenze è tratta.
Rileggendo questo Prefazio e il testo di Barsotti basato sulla Messa in cui questo Prefazio veniva (e viene) proclamato, sempre più mi convinco che esso è alla base di quella visione intellettuale, che quella luce dello splendore del Padre è la stessa avvertita da Barsotti, Gesù, Splendor paternae gloriae. In Lui (per hunc) possiamo essere rapiti all’amore delle realtà non visibili ma non di meno vere, anzi, secondando Barsotti, più vere delle realtà temporali. Il luogo privilegiato di questa presenza è la liturgia, il Sacramento dell’Eucaristia, pegno della gloria futura (‘...et futurae gloriae nobis pignus datur”, O sacrum convivium, antifona per i vespri del Corpus Domini).
Riscoprire questa “Presenza reale” (anche nel senso di presenza che regna?) è lo scopo della vita del cristiano e la liturgia e’ il luogo di questa scoperta. Divo Barsotti ancora ci avverte: “Dio deve viver per te! Tutto è vuoto, non è: dinanzi a te non rimane che Dio” (21-23 gennaio 1946, pag. 167 in La fuga immobile). La liturgia non è il luogo della nostra rivelazione, il luogo in cui ci riveliamo, ma il luogo in cui siamo alla presenza della Presenza rivelata. La liturgia non è il luogo di espressione personale (lo è indirettamente, guai quando lo è direttamente, quando cerchiamo quasi affermazioni di identità di gruppo più o meno lecite). Essa è attesa della rivelazione, essa è avvento perenne, essa è nuda presenza.
Ma questa presenza è “ri-velata” forse per dire che è velata due volte? È una presenza assente, almeno per le nostre povere forze spirituali e di “mens”. Questo cammino di purificazione è il nostro doloroso percorso esistenziale, questo vagare come ciechi nella luce più abbagliante. Eccoci allora, dimentichi dei nostri pesi mortali e pronti per immergerci nel silenzio che grida. Che i poveri sensi si inchinino al senso, che la nostra vita possa essere “Luce e silenzio” (altro testo del Padre, in cui ci dice “La parola tanto più perde di efficacia quanto più si moltiplica”, pag. 223), che le redini si spezzino per lasciar correre quello che in noi è più vero e più bello incontro a Colui che si appressa.
La liturgia deve essere per noi il linguaggio della rivelazione in cui noi silenziamo i nostri occhi spirituali per aprire quelli spirituali. In un testo curato dal padre Barsotti sui mistici Russi, viene riportata questa frase di san Serafino di Sarov:
“Quanto grande è la misericordia che Dio manifesta, per le nostre sciagure e la nostra noncuranza della sua protezione, nelle parole: “Ecco, io sto all’uscio e picchio”. Intendendo con la parola “uscio” il corso della nostra vita non ancora arrestato dalla morte!”.
La liturgia è quel picchiare sulla porta della nostra anima di Dio che cerca di risvegliarci alla vera vita. Ma la liturgia deve essere degna. Una domenica mi è capitato di entrare un una bella chiesa romana in cui la Messa stava volgendo al termine. L’atmosfera era devota perché gli astanti si preparavano a ricevere la benedizione. Ma dopo tutto questo, ecco una schitarrata con un canto con parole non liturgiche, anzi vagamente religiose. Siamo noi che tradiamo la liturgia.
In una riflessione del 30 maggio 1944, padre Barsotti affermava:
“Immersione nella Gloria di Dio. L’anima si è perduta in Lui. Sentimento vivissimo di una Pienezza pura: Luce davanti alla quale, nella quale ogni altra luce è come non fosse: Forza unica, assoluta, che tutto sostiene e crea. Trascendenza di Dio. Silenzio e Abisso che in te divengono una «parola», una forma. È come se Dio vivesse per te”.
Nel silenzio e nell’abisso della liturgia prende forma il nostro essere in Lui.