Mano a mano che gli anni vanno avanti, sempre più mi accorgo che quello che dobbiamo ai giovani non è di compiacerli in quello che sono, con tutte le fragilità e le precarietà di quella benedetto età, ma di ispirarli per quello che dovranno essere. Se non si comprende che la gioventù non è l’uomo in atto, ma in potenza, si è capito veramente poco, quasi niente.
Il giovane deve essere aiutato a diventare un bravo adulto, un Cristiano valoroso e che sappia rialzarsi dalle inevitabili cadute. Confermare il giovane nella sua transitorietà non è fargli un buon servizio e non è fare neanche un buon servizio alla Chiesa. Per quello che riguarda la liturgia, questo significa educarli alla bellezza liturgica, alla bellezza del canto sacro, alla bellezza di canti e preghiere. Non li si aiuta esponendoli a quello a cui sono fin troppo esposti nella società anche nella chiesa.
Nella sua lettera al Marchese di Montalambert, Juan Donoso Cortés diceva: “Quando Lei ebbe la bontà di scrivermi erano prossime le elezioni. Questa considerazione e il desiderio di non distrarre la sua attenzione durante tale periodo, mi trattenuto dal risponderLe; lo faccio ora, approfittando dell'intervallo tra le ultime operazioni elettorali e le prime discussioni dell'Assemblea legislativa. La simpatia di un uomo come Lei è la più bella ricompensa ai miei onesti sforzi tesi ad innalzare alla maggiore altezza possibile il principio cattolico, conservatore e vivificatore delle società umane. D’altra parte io non corrisponderei degnamente alla benevola simpatia di cui Ella mi onora se non mi presentassi ai suoi occhi così come sono, o come credo d'essere, con la verità sulle labbra e con il cuore in mano. Ciò è tanto più necessario, in quanto finora non ho avuto occasione di dire tutto ciò che penso intorno ai gravissimi problemi che oggi occupano le menti più elevate. Il destino dell'umanità è un mistero profondo, che ha avuto due spiegazioni opposte, l'una dal Cattolicesimo, e l'altra dalla filosofia; ognuna di esse, nel suo insieme, costituisce una civiltà completa. Ma fra queste due civiltà vi è un abisso insormontabile, un antagonismo assoluto, ed i tentativi diretti ad una transazione tra esse sono stati, sono, e saranno perpetuamente vani. L'una è l'Errore, l'altra la Verità, l'una è il Male, l'altra il Bene: è necessario scegliere tra le due decisamente, e dopo, accettare in tutte le sue parti l'una e condannare interamente l'altra. Coloro che tentennano tra le due, coloro che dell'una accettano i princìpi e dell'altra le conseguenze, cioè gli eclettici, sono fuori dal numero delle grandi intelligenze, e irremissibilmente condannati all'assurdo. Io credo che la civiltà cattolica contenga tutto il bene senza mescolanza di male, e che la filosofia contenga il male senza mescolanza di bene. La civiltà cattolica insegna che la natura umana è inferma e prostrata, in maniera radicale, nella sua essenza ed in tutti gli elementi che la compongono. Se la ragione umana è inferma, essa non può né inventare, né scoprire la verità, ma solo vederla quando le viene rivelata; se la volontà è inferma, non può volere il bene né operarlo se non è sorretta, e lo sarà soltanto se rimarrà sottomessa e dominata. Stando così le cose, è chiaro che la libertà di discussione conduce necessariamente all'errore, come la libertà di azione conduce necessariamente al male. La ragione umana non può vedere la verità se non le viene mostrata da una autorità infallibile e docente: la volontà umana non può volere il bene né operarlo se non è dominata dal timore di Dio. Quando la volontà si emancipa da Dio, e la ragione dalla Chiesa, l'errore ed il male regnano incontrastati nel mondo”. Ecco, se queste idee così bene espresse dal nostro pensatore non sono al centro di quello che dobbiamo ai giovani, i nostri sforzi sono vani. Essi, anche attraverso la liturgia, devono divenire adulti migliori e non essere confermati nella precarietà del loro stato. A cosa servirebbe questo? Se la Chiesa è sempre giovane, non per questo deve essere giovanilista.
Non possiamo fare a meno di riferirci all’esempio che ci viene dalla cultura di massa che oramai tanta influenza ha sulle nostre vite anche per quello che riguarda le cose di chiesa. Prendiamo per esempio le serie televisive di Netflix, che hanno ai giorni nostri un pubblico enorme? Possono dirci qualcosa sulla musica sacra? Forse non specificamente, ma certamente quando se ne occupano ci fanno capire qual è una certa percezione.
Prendiamo per esempio una serie italiana come Incastrati, con i comici siciliani Ficarra e Picone. Ovviamente è una serie di genere umoristico e come tale va considerata, ma per il nostro scopo questo fatto è ancora più importante. Dunque, a un certo punto i nostri protagonisti devono visitare un convento di frati e il padre che li accoglie li invita a partecipare alla loro preghiera. Ovviamente sia la situazione del frate con Ficarra e Picone sia il frate stesso sono visti in forma caricaturale. Quando vanno nel luogo della preghiera viene offerta della stessa anche un’immagine caricaturale, volta a suscitare il sorriso. Come fanno? Con un gruppo di armati di chitarra che li dilettano con alcune delle primizie di certo repertorio postconciliare, come Canto per Cristo che mi libererà o Osanna E. Si noti che l’esecuzione dei brani non è male, molto meglio di quello che si ascolta in tante parrocchie. Quindi non c’è una caricatura dei brani stessi perché, questo mi sembra un messaggio che viene fuori chiaro, è già abbastanza caricaturale il fatto che si unisca la preghiera liturgica con musica di quel genere. Non serve forzare, il ridicolo esce fuori in modo naturale.
Del resto troviamo un’idea del genere già nel film Borotalco di Carlo Verdone, quando al matrimonio Christian de Sica si esibisce in una versione Rock dell’Ave Maria. Lì ovviamente l’attore forza la mano, ma l’idea di certa musica in contesto liturgico dovrebbe suscitare un certo senso del ridicolo, ma purtroppo ci sono persone che ancora credono che questo è il modo di evangelizzare i giovani. Ma dove sono ora? I giovani, intendo.
Ma già prima, nel 1981, con Cornetti alla crema con Lino Banfi e Edvige Fenech c’era stato un sentore di questa idea, quando lui che era un sarto clericale che cerca di vivere una storia piccante con la bella cantante lirica, a cui fa credere ad un certo punto di fare un audizione per cantare in Chiesa e si ritrova in un gruppo di donnine un po’ allegre travestite da suore che al posto dell’Ave Maria di Schubert da lei richiesta gli fanno cantare uno scatenato O when the saints. Per carità, almeno questi canti nei loro contesti (che non sono quelli della liturgia cattolica) una dignità ce l’hanno, ma la situazione comica scaturisce dal senso di ridicolo fra il canto percepito come “sacro” (e quell’Ave Maria per quanto non liturgica però nell’immaginario collettivo quella percezione la comunica) e ritmi più commerciali.
Ora, purtroppo, quello che è compreso da film e serie televisive non è stato compreso da tanti, troppi nel clero, religiosi e religiose, che non hanno capito che non si innalzano le persone a Dio abbassando la liturgia alle nostre esigenze più basse.