Spesso noi parliamo di tradizione, intendendo quella con la ‘t’ maiuscola, cioè la grande Tradizione. Dobbiamo capire che questa Tradizione è fatta anche di tradizioni particolari. Per esempio quelle delle compagini corali, cori che hanno una lunga storia e che quindi conservano in sé memorie di tempi più o meno lontani.
Ovviamente non tutti i cori risalgono a secoli passati, alcuni magari hanno qualche decina d’anni, ma anche questo tempo relativamente breve è stato utile per far sedimentare un sedimentare un senso di identità che poi informa tutti i membri.
A volte i cori nelle nostre chiese vengono trattati come ammassi di persone che casualmente si ritrovano per tirare fuori due note; a volte questa descrizione è pure accurata. Ma i cori sono certamente molto più di questo, quando essi sono gestiti seriamente, sono delle piccole società in cui le persone vivono e crescono.
Certo, quando un coro ha una storia importante è come far parte di una famiglia con tradizioni significative, c’è motivo per esserne orgogliosi per sentirsi un elemento di un discorso che ci supera. Ma anche in cori con storie più modeste, come ho detto, se in essi c’è un Maestro che sa il fatto suo, possiamo beneficiare dei mezzi che ci portano a contribuire allo sviluppo dell’istituzione e a quello nostro personale.
Non si comprenderà mai troppo il male che è stato fatto in troppe chiese con l’estromissione dei cori per far luogo a gruppi improvvisati di suonatori che non hanno contribuito ad arricchire la liturgia con quello che non hanno, nel frattempo anche loro impoverendosi.
I cori sono spesso famiglie, e creano legami che né il tempo, né la distanza, possono spezzare.