Una grande confusione ha abitato il cielo degli ultimi decenni. Una confusione che ci piacerebbe pensare possa avere un termine ma, purtroppo, così non è.
Sembra oramai che una piega triste sia stata presa e non è così facile poter tornare indietro. Uno degli elementi di questa situazione è il confondere il canto popolare con il canto liturgico.
Il canto liturgico è il canto ufficiale della Chiesa, diremmo che rappresenta la dimensione oggettiva della liturgia. Esso è di solito basato sui testi ufficiali del Messale e nella Messa tradizionale questi testi sono in Latino, mentre quelli del canto popolare sono nella lingua vernacolare.
Proprio questa importante differenza ci fa capire che, mentre nel canto liturgico dovrebbe essere forte l’elemento oggettivo, in quello popolare predomina quello soggettivo.
Non si intende dire che la devozione popolare non sia importante. Essa è certamente molto importante, come ci dice il Direttorio su pietà popolare e liturgia: “La realtà indicata con la locuzione “religiosità popolare” riguarda un’esperienza universale: nel cuore di ogni persona, come nella cultura di ogni popolo e nelle sue manifestazioni collettive, è sempre presente una dimensione religiosa. Ogni popolo infatti tende ad esprimere la sua visione totalizzante della trascendenza e la sua concezione della natura, della società e della storia attraverso mediazioni cultuali, in una sintesi caratteristica di grande significato umano e spirituale. La religiosità popolare non si rapporta necessariamente alla rivelazione cristiana. Ma in molte regioni, esprimendosi in una società impregnata in vario modo di elementi cristiani, dà luogo ad una sorta di “cattolicesimo popolare”, in cui coesistono, più o meno armonicamente, elementi provenienti dal senso religioso della vita, dalla cultura propria di un popolo, dalla rivelazione cristiana”.
Lo stesso documento, poco più avanti, affronta il tema del canto e della musica: “Anche il canto, espressione naturale dell’anima di un popolo, occupa una funzione di rilievo nella pietà popolare. La cura nel conservare l’eredità di canti ricevuti dalla tradizione deve coniugarsi con il sentire biblico ed ecclesiale, aperta alla necessità di revisioni o di nuove composizioni. Il canto si associa istintivamente presso alcuni popoli col battito delle mani, il movimento ritmico del corpo e passi di danza. Tali forme di esprimere il sentire interiore fanno parte delle tradizioni popolari, specie in occasione delle feste dei santi Patroni; è chiaro che devono essere manifestazioni di vera preghiera comune e non semplicemente spettacolo. Il fatto che siano abituali in determinati luoghi non significa che si debba incoraggiare la loro estensione ad altri luoghi, nei quali non sarebbero connaturali”. Come vediamo, il documento cerca di separare l’elemento soggettivo dell’espressione popolare, che è diverso a secondo del luogo in cui ci si trova, da quello liturgico che dovrebbe essere più o meno comune a tutti.
Purtroppo, negli ultimi decenni si sono totalmente confusi questi due piani diversi, facendo sembrare che il canto popolare equivalga al canto liturgico, ma così non è. Quante volte io ho ascoltato sacerdoti che esprimevano il desiderio che nella Messa si eseguissero “canti popolari”? Stranamente ben poche volte ho potuto testimoniare la richiesta di canti liturgici, come sarebbe giusto e appropriato.