Dal momento che papa Leone XIV si è presentato al mondo come nuovo Pontefice della Chiesa cattolica, una delle osservazioni che è stata fatta sul suo conto riguarda il fatto che non aveva problemi a cantare. Abbiamo anche potuto testimoniare una fortunata iniziativa del Pontificio Istituto di Musica Sacra in Roma che in una serie di video su YouTube visti da un numero enorme di persone insegnava alcuni brani del repertorio gregoriano usando video di Leone XIV in cui il Pontefice cantava gli stessi brani.
Se però ci pensiamo attentamente, non è strano che ci sorprendiamo perché un Papa canta? Sarebbe come sorprendersi perché il Papa benedice o predica. Eppure è tale la situazione della liturgia che il fatto che un Papa faccia una cosa normalissima viene visto come una cosa straordinaria.
Certo, non possiamo negarlo, questa situazione è stata fortemente influenzata dal fatto che il suo predecessore, papa Francesco, aveva scelto di non cantare. Purtroppo, nella Chiesa fatta anche da uomini con i loro limiti e difetti, accade che alcuni comportamenti del Papa vengano vissuti da alcuni come fossero un incoraggiamento a compiere certe azioni, non pensando al fatto che i Papi stessi sono uomini e che possono fare delle cose non del tutto appropriate: il fatto che papa Francesco aveva trattato bruscamente una donna cinese che probabilmente lo stava un poco infastidendo non autorizza i sacerdoti a fare lo stesso con altri malcapitati con gli occhi a mandorla.
Il Papa che canta non fa che confermare un fatto importante, cioè che la liturgia deve essere per sua natura cantata. Non ci sorprendiamo che il Papa canta, chiediamoci perché il Papa non canta abbastanza. Io ricordo i tempi di Giovanni Paolo II, tempi in cui il Papa polacco cantava con la sua bella voce virile. L’organista di san Pietro di quel tempo, il buon francescano padre Emidio Papinutti, raccontava che per la canonizzazione di Massimiliano Kolbe, Giovanni Paolo II cantava il Prefazio su una corda di recita molto alta, probabilmente perché molto felice ed emozionato per quell’evento. Io posso dare una testimonianza personale su Giovanni Paolo II. Sono stato organista dell’Udienza generale del mercoledì negli ultimi 6 anni della sua vita. Cominciava già ad essere malato ma fino a che ha potuto non ha mai rinunciato ad intonare il Pater Noster in canto gregoriano e a cantare la benedizione finale. Anche Benedetto XVI cantava sempre le sue parti.
Il fatto che ci sorprendiamo che un Papa, o qualunque sacerdote, possa cantare le parti a lui dovute, non fa che confermare la forte sensazione di privazione a cui siamo costretti per una idea distorta di riforma della liturgia. Io credo che fino a che non si affronterà in modo coraggioso il tema della crisi della liturgia, non ne usciremo fuori. Bisognerebbe recuperare l’intenzione originaria della riforma liturgica che risale a dom Prosper Guéranger, a san Pio X, quella di aiutare i fedeli ad elevarsi alle bellezze della liturgia.