La traduzione liturgica non deve degenerare nell’iconoclastia. Infine, il linguaggio liturgico deve essere comprensibile, questa è una legge fondamentale e incontestabilmente vera della liturgia.
Ma la Chiesa ha conservato dalle sue origini semitiche alcune parole che appartengono a tutti i cristiani: Amen, Alleluia, Osanna e anche Maran atha. Quando Roma abbandonò il greco, fece lo stesso: mantenne il Kyrie eleison, l'Hagios o Theos, e nella messa solenne papale, fino ad oggi, il Vangelo continua a essere letto in latino e in greco. Non dovremmo provare un po’ di dolore se ora ci viene tolto il Kyrie, questo filo così tenue che, dopo secoli di separazione, ci collega ancora alla Chiesa d’Oriente? E, del resto, se consideriamo perfettamente giusta la decisione presa da Roma di sostituire la liturgia greca con quella latina, non dobbiamo dimenticare che tale decisione fu a sua volta all'origine della separazione tra Oriente e Occidente, che era in larga misura una questione di lingua e liturgia. La lingua ha un’importanza molto maggiore di quanto normalmente pensiamo. Ciò significa che in un momento in cui, ancora una volta, la Chiesa attraversa una nuova tappa della sua storia, la traduzione liturgica è essenziale; ma non deve degenerare in iconoclastia. Esiste una legge di continuità e non la trasgrediamo impunemente.
—Storia liturgica del XX secolo: questioni e documenti (Religioni e spiritualità)