Ho osservato con un certo imbarazzo il tentativo di far passare una certa narrativa per cui l’evidente tracollo di presenze alla Messa domenicale è dovuta alla pandemia che stiamo vivendo da due anni. Ora, se è vero da una parte che la pandemia ha evidenziato in modo drammatico questo problema, sarebbe insincero pensare che la situazione sanitaria ha creato il problema. Papa Francesco nel suo discorso alla curia romana del 21 dicembre 2019, prima dell’esplosione del covid 19 diceva: “Non siamo più in un regime di cristianità perché la fede – specialmente in Europa, ma pure in gran parte dell’Occidente – non costituisce più un presupposto ovvio del vivere comune, anzi spesso viene perfino negata, derisa, emarginata e ridicolizzata”. Si rifaceva anche a quanto detto da Benedetto XVI nel motu proprio Porta Fidei del 2012: “Mentre nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, largamente accolto nel suo richiamo ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi non sembra più essere così in grandi settori della società, a motivo di una profonda crisi di fede che ha toccato molte persone”. La liturgia era già in pieno investita da questi problemi di fede e ne mostrava alcuni effetti visibili, con il prevalere del soggettivismo, il culto dell’assemblea che sostituisce quello di Dio, la cura e la sciatteria di troppo celebrazioni.
In una intervista a Giacomo Gambassi di Avvenire il vescovo Claudio Maniago, presidente del Centro di Azione Liturgica, in occasione dell’apertura della recente Settimana Liturgica, così risponde ad una domanda sugli effetti del covid sulle liturgie: “Non possiamo soffermarsi unicamente sull’aspetto contabile. Per precise indicazioni di carattere sanitario, le presenze si sono diradate. Addirittura la parte più fragile della nostra gente è stata esortata a non uscire di casa per evitare pericoli: mi riferisco in particolare agli anziani. Quando le celebrazioni pubbliche sono riprese, dopo la sospensione dello scorso anno durata alcuni mesi, diverse persone non sono tornate: vuoi perché erano soggetti a rischio; vuoi per i timori del contagio; vuoi perché qualcuno, vivendo una relazione più labile con il momento celebrativo, ha ritenuto di astenersene o di seguirlo con i mezzi di comunicazione. Tutto questo deve interrogarci e tradursi in una domanda: davvero le comunità hanno consapevolezza di quanto sia fondamentale la domenica vissuta intorno alla mensa eucaristica? Poi occorre anche ragionare su un salto di qualità necessario in ordine all’annuncio della Parola e alla catechesi”. Mi sembra che la risposta non affronti il vero nodo della questione, che non è il covid il problema, ma che le moderne liturgie risentono evidentemente della crisi della fede. Alla domanda finale di Gambassi se ancora fosse rilevante il motto (sciagurato, aggiungo io) “meno messe, più messa” il vescovo risponde: “Ciò che conta è che le celebrazioni siano ben curate in modo che l’assemblea si senta partecipe. Perché stiamo parlando della fonte e del culmine della vita cristiana”. Ma il problema è se stiamo dando a Dio quella gloria che gli spetta di diritto, poi la conseguenza sarà l’edificazione dei fedeli. Purtroppo il cambiamento di prospettiva non smette di informare le moderne idee sulla liturgia e questo non fa ben sperare.
Papa Francesco, in un messaggio inviato tramite il segretario di stato cardinale Pietro Parolin proprio per la Settimana Liturgica 2021, insiste sulla narrativa del coronavirus ma ammette quello che ho detto all’inizio, cioè che ha solo evidenziato problemi già esistenti: “La liturgia “sospesa” durante il lungo periodo di confinamento, e le difficoltà della successiva ripresa, hanno confermato quanto già si riscontrava nelle assemblee domenicali della penisola italiana, allarmante indizio della fase avanzata del cambiamento d’epoca. Osserviamo come nella vita reale delle persone sia mutata la percezione stessa del tempo e, di conseguenza, della stessa domenica, dello spazio, con ricadute sul modo di essere e di sentirsi comunità, popolo, famiglia e del rapporto con un territorio. L’assemblea domenicale viene così a ritrovarsi sbilanciata sia per presenze generazionali, sia per disomogeneità culturali, sia per la fatica a trovare un’armonica integrazione nella vita parrocchiale, ad essere veramente culmine di ogni sua attività e fonte del dinamismo missionario per portare il Vangelo della misericordia nelle periferie geografiche ed esistenziali”. La crisi della liturgia è di una profondità abissale, un cambiamento così radicale che a viste umane è difficile pensare ad un recupero di una certa dignità della stessa. In realtà le recenti vicende riferite alla Messa tradizionale, bene inquadrano il processo difensivo di un sistema che è nella Chiesa ma che solo un suo modo di essere e non la rappresenta necessariamente in essenza. Un sistema che cerca di rimuovere in tutti i modi le minacce alla sua esistenza e più la minaccia è importante, più la reazione sarà violenta. A ben vedere, noi non assistiamo all’ alba di una nuova primavera, ma all’incedere dell’oscurità che avvolgerà un lungo inverno.