Padre, molti commentatori hanno rimarcato come il nuovo Papa Leone XIV sia tornato ad indossare un paramento liturgico chiamato “mozzetta”. Potrebbe spiegare il significato di questo paramento e i simboli che lo accompagnano? (Lettera firmata)
La risposta richiede una visuale più ampia riguardo agli abiti indossati dagli ecclesiastici in occasioni di diversa importanza. Possiamo distinguere tre tipi di abiti: l’abito ecclesiastico, l’abito corale e l’abito liturgico (o paramento).
1. L’abito ecclesiastico è l’abito ordinario dei ministri sacri di ogni ordine e grado (prelati e clero inferiore). Si tratta del noto abito talare nero, che configura il ministro sacro nella vita quotidiana. Il clergyman è concesso in particolari necessità, ma non dovrebbe sostituire la talare in modo permanente.
2. L’abito corale è l’abito da cerimonia per assistere ai riti e per particolari circostanze stabilite dal protocollo ecclesiastico. Si tratta della cotta bianca (o rocchetto per i prelati) sopra la veste talare e, per chi ne ha diritto, della mozzetta (corta mantellina chiusa con bottoni) sopra il rocchetto. In alcune circostanze, soprattutto se si presiede ad un rito, si assume anche la stola. Il colore delle vesti è il nero per il clero inferiore, il paonazzo per i vescovi e alcuni prelati (es. Canonici), il rosso per i cardinali.
3. L’abito liturgico è quello prescritto per le celebrazioni liturgiche. La diversa tipologia e uso dei paramenti sacri è indicata nelle rubriche dei libri liturgici.
Altri elementi completano l’abbigliamento ecclesiastico: la fascia, lo zucchetto, la berretta, la croce pettorale (con catena o cordulo) e l’anello. Senza ulteriori indugi diciamo che, la mozzetta, nella vigente normativa, attesta normalmente la dignità episcopale, salvo alcune eccezioni.
La mia sobria esposizione potrà essere completata ricorrendo al vigente Cerimoniale dei Vescovi che tratta l’argomento dal n. 1199 al n. 1210 .
Come si può arguire il Sommo Pontefice si è presentato sulla loggia vaticana rivestito del suo abito corale proprio, che indossa nelle occasioni stabilite dal protocollo specifico previsto.
Ora il problema maggiore consiste nell’avversione all’abito ecclesiastico in quanto tale, che ha portato il clero ad una estesa secolarizzazione: l’abito ecclesiastico ordinario è abbandonato in favore dell’abito laicale; l’abito corale in genere (soprattutto nel clero inferiore) è del tutto scomparso; l’abito liturgico è spesso semplificato e ridotto nelle sue parti.
Il pauperismo e lo spiritualismo hanno desolato la forma visibile dell’abbigliamento ecclesiastico privando la Chiesa e la società civile della testimonianza pubblica delle realtà trascendenti ed eterne. Si è dimenticato il monito del concilio Tridentino:
«Anche se l’abito non fa il monaco, è necessario tuttavia che i chierici portino sempre un abito conforme al loro stato, in modo che un abito esteriormente appropriato mostri l’interiore onestà dei costumi. D’altra parte oggi la presunzione di certe persone o il loro disprezzo della religione è andata tanto oltre che, senza alcun riguardo per la propria dignità e per l’onore dello stato clericale, essi portano, anche pubblicamente, abiti laicali, tenendo il piede in due staffe, uno nelle cose divine e uno in quelle mondane».
Che la disposizione tridentina mantenga la sua validità è attestato dal vigente Codice, can. 284:
I chierici portino un abito ecclesiastico decoroso secondo le norme emanate dalla Conferenza Episcopale e secondo le legittime consuetudini locali.