Non molti, anche nell’ambiente musicologico italiano, conoscono l’opera del musicologo franco svizzero Jacques Viret (1943), un autore che ha contribuito interessanti studi nel campo del canto gregoriano e della musica medioevale, della musicoterapia, dell’importanza della tradizione nell’evoluzione della musica. Ho avuto la fortuna di entrare in contatto con il Professor Viret alcuni anni fa, ed insieme abbiamo scritto un libro in francese, Les Deux Chemins, sulla spiritualità nella musica. Ritengo questo libricino un lavoro di una certa importanza, proprio perché rappresenta un dialogo fra due mondi con grandi differenze (io cattolico, lui protestante) anche nelle idee sulla tradizione, ma presenta anche tanti punti importanti di convergenza. Ora abbiamo appena terminato un secondo libro sulla modalità che speriamo verrà presto pubblicato.
Il Professor Viret ha recentemente pubblicato un altro volume in lingua francese da non perdere: Le retour d'Orphée: L'harmonie dans la musique, le cosmos et l'homme (2019, Editions l’Harmattan), un libro di circa 450 pagine in cui è importante il richiamo alla dimensione anche mitica della narrazione musicale (Orfeo). Marcello Veneziani, in un suo bel libro sul mito ha detto: “Ma cosa distingue, alla fine, in modo essenziale la vita nutrita dal mito dalla vita presente fondata sulla tecnica? La tecnica rinvia, cura, allevia, distrae dal tempo che passa, dalla vecchiaia che incede, dalla malattia che ghermisce, dalla solitudine che incalza e dalla morte che viene. Protegge dalla natura e insieme la potenzia. Il mito invece addomestica la natura, il tempo, la vecchiaia, la sofferenza, la solitudine e la morte medesima. Non li ferma, non sopprime la loro famelica ferocia; li doma. Li accoglie in casa, ne dà un senso e un destino, infonde stile e serenità, nel segno dell’amor fati e di un più grande disegno di cui la nostra vita è soltanto un punto e un frammento“. Ecco, questa visione della musica anche nutrita dalla lettura mitopoietica della realtà storica, ci sembra una importante alternativa a tanta musicologia che è spesso preda di una frenesia di seguire mode ideologiche e culturali.
Nella presentazione del libro viene detto: “La Voce Divina, ci dicono miti e tradizioni, ha creato il mondo. Il canto delle voci umane gli risponde. Orfeo, l'iniziato dei Misteri greci, impersona i poteri della musica. Oggi il materialismo scientifico che nega l'armonia cosmica è contraddetto dalla scienza "olistica" che unisce la saggezza ancestrale. Alla confluenza della fisica contemporanea e della metafisica tradizionale, della cosmologia e dell'antropologia, della musicologia e dell'etnomusicologia, questo lavoro contribuisce a questo nuovo paradigma chiarendo i misteri dell'armonia musicale. Ripristina la sua dimensione simbolica e spirituale e fa luce sull'evoluzione confusa della musica occidentale dall'inizio del XX secolo“. Come si vede una prospettiva del tutto originale, come originale è la lettura che viene data dello sviluppo della musica occidentale nel secolo passato, riflesso poi in questo, uno sviluppo che in alcuni casi è stato più un inviluppo, un gettarsi a tutta velocità contro un muro.
Nel testo, apparso per la collana Theoria della casa editrice francese diretta da Pierre-Marie Sigaud, è evidenziato questo approccio interdisciplinare, diremmo olistico, che è tipico di Jacques Viret, che si muove tra la musicologia propriamente detta, l’etnomusicologia, l’antropologia, la storia delle religioni...insomma un tour de force che però risulta importante per capire la prospettiva originale e originante dell’autore. Non si deve essere d’accordo su tutto quello che viene detto nel libro, per riconoscere però che le tesi in esso esposte sono senz’altro degne della più grande attenzione e considerazione. Nella prima parte c’è una esposizione teorica riprendendo la concezione mitica di orfeo ma anche immergendosi nella tradizione di pensiero occidentale, con riferimenti importanti a Pitagora e al pensiero medioevale. Nella seconda parte si approfondisce questo concetto dell’armonia come scienza e saggezza, anche qui riferendosi a varie fonti, anche quelle dello studio da lui compiuto nel campo della musicoterapia. Nella terza parte l’autore va alla ricerca dell’armonia perduta, anche elencando nomi di compositori che hanno cercato una alternativa nel loro lavoro, rispetto alla voglia di autodistruzione che abbiamo visto all’opera in tante correnti compositive dal secolo passato e che in questo mostrano il loro fiato corto. Un interesse dell’autore è quello per le correnti neo modali (ed è per questo che mi sono indegnamente meritato una citazione nel suo libro per la mia opera compositiva) e come ho detto la modalità è l’oggetto di un lavoro che io e il professor Viret abbiamo appena concluso e che speriamo veder presto pubblicato.
Pur se il professor Viret ha una sua particolare prospettiva spirituale che non si deve accettare in toto, non di meno io ritengo che la sua forza di pensiero vada comunque affrontata, perché egli pone problemi in seno alla comunicazione del fare musica, alle domande che sorgono a chi si pone di fronte al fenomeno dei suoni organizzati, che non possono e non devono essere eluse. Egli ci insegna che non si può e non si deve tenere fuori lo spirito dalle cose artistiche, altrimenti gli si toglie l’anima, la ragione di quello che sono e di quello che sono nate per fare. Egli ragione non cercando le ragioni ma cerca l’origine, cioè la ragione profonda di fenomeni, come quello musicale, che coinvolgono l’essere umano prendendolo nelle sue aspirazioni più profonde.