Il contesto vitale in cui si sviluppa la melodia è il silenzio. Qualcuno mi ha detto una volta “In Italia, anche nelle chiese e nei conventi, non esiste il silenzio. Si parla sottovoce, si parla poco; ma sempre e comunque si parla. Il risultato è un sottofondo fastidioso che permea tutti gli ambienti...”.
Il silenzio dilata tempi e spazi, permette al suono di espandersi e alla voce di esprimere la sua vitalità. Importante è assicurare la cittadinanza al silenzio nei momenti privilegiati, a cominciare dagli istanti che precedono l’inizio del canto, quando bisogna immergersi nell’oceano della contemplazione acustica, dimenticando tutto quanto si è analizzato, studiato, verificato... Occorre dare piena libertà al canto uscendo dal labirinto dei pensieri e dei programmi calcolati con cura e, talora, con timore. Il cantore non deve fare più nulla. Il suo cuore e la sua intelligenza mettono ormai la sua voce a servizio della preghiera nella liturgia oppure a servizio della comunità in ascolto dei sentimenti profondi narrati da un melodramma. Così pure, alla fine è scandaloso il vizio che avvelena il clima alla conclusione di un’esecuzione con il fragore anarcoide degli applausi. Quando solo il silenzio è in grado di dilatare la persona che cerca conforto e luce irradiati dalle ultime imperdibili risonanze, violentate e sacrificate.
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