La Liturgia deve tener presenti alcune caratteristiche:
1. SERIETA’
Chi vi partecipa deve sentire che la liturgia è importante, è cosa grande, di valore. Si deve lottare contro la banalizzazione, contro una eccessiva ferialità, abitudinarietà, una familiarità a buon mercato, che trasforma la liturgia in espressione soggettivistica e di basso livello.
2. NOBILTA’
La Liturgia deve essere nobile nei gesti, nei testi, nei canti e nella musica, nei simboli e abiti, nell’ambiente, ecc.. Mai essa dev’essere disgiunta dall’arte autentica. La liturgia deve educare il cristiano alla nobiltà nel rapporto con Dio e mai deve indulgere ad espressioni, linguaggi e simboli di bassa lega in nome di una presunta incidenza pastorale.
3. SACRALITA’
Nella liturgia Dio è presente ed agisce, il cielo discende sulla terra, l’uomo è elevato alle realtà celesti. Occorre che ciò venga espresso e percepito, mediante segni, gesti, simboli, che creino un clima di silenzio, di rispetto, di adorazione, di stupore. Una liturgia secolarizzata, ossia ridotta all’umano a semplice assemblea sociologica e a mere espressioni correnti, non eleva l’animo al sacro, ossia non coglie la dimensione soprannaturale che in essa opera. La liturgia deve anche porre la Chiesa davanti al mistero, che trascende ed è incomparabile (senso del mistero).
4. SOLENNITA’
Anche se la solennità non può essere una caratteristica di ogni atto liturgico, tuttavia è necessaria la liturgia solenne nelle grandi solennità e nei giorni liturgici in cui essa è richiesta. Mediante la solennità si sottolinea l’importanza di taluni misteri della fede. Senza giorni e celebrazioni solenni si cade nell’appiattimento liturgico. Occorre distinguere tra: liturgia feriale, liturgia festiva e liturgia solenne. Purtroppo in tante parrocchie non vi è più differenza sufficiente e significativa tra una solennità e una normale domenica e talvolta neanche tra domenica e giorno feriale. La solennità è data da elementi quali: - numero di ministri; - ricchezza di simboli (abiti, arredi, incenso, ceri); sacralità e valore dei canti (polifonia sacra); -ricchezza di riti e gesti (processioni, riti tipici); - uso dell’organo e suono delle campane. Non è possibile una liturgia solenne senza le tre scholae: schola degli accoliti (ministranti), schola dei lettori, schola cantorum. Occorrerà segnalare per ogni rito il carattere che riveste (feriale, festivo, solenne). La Messa, ad esempio potrà essere: feriale (nelle ferie), festiva (nelle domeniche e le feste), solenne (nelle solennità). Così se si intende che un rito sia solenne ciò implica che sia celebrato con i crismi della solennità (campane, corale, abiti liturgici, incenso, ceri, addobbi). La solennità è necessaria anche per esprimere la Maestà di Dio, che rimane ineffabile anche se ci ha introdotti alla familiarità con Lui mediante l’Incarnazione del Verbo. La solennità esprime in modo compiuto le caratteristiche della liturgia: la serietà, la sacralità e la nobiltà. Per di più suscita la vera festa religiosa, che non è la banale allegria di una sagra, ma è la solennità liturgica, che anticipa il Regno in linea con le visioni dell’Apocalisse. Ora, affinché la solennità liturgica sia veramente realizzata nella parrocchia, occorre che, non solo sia segnalata e comandata dai libri liturgici, ma che la parrocchia stessa si attrezzi con gli strumenti della solennità, come sempre ci attesta la tradizione secolare. Non è indifferente avere o non avere l’organo, le campane, gli abiti più solenni, determinati arredi più preziosi, ecc.. In questo campo non si deve parlare di povertà, ma ogni comunità, compatibilmente alla sua situazione di vita sociale, deve elevare la qualità e l’arte di ciò che serve alla liturgia. Per i poveri si devono prima ridurre le ricchezze delle nostre case dagli eccessi nella vita familiare e privata dei cristiani, ma non ridurre in nome di una presunta povertà la solennità nella casa di Dio. Questa sarà un’eccezione straordinaria, ma appunto per questo rara. La comunità cristiana è in grado di curare sia le necessità dei poveri, sia la solennità liturgica, senza riduzione dei due ambiti. Con la solennità liturgica si esprime l’adorazione diretta a Dio, l’amore diretto verso di Lui, amato sopra ogni cosa. Con la carità verso il povero si ama il prossimo e Dio in lui. Ma non è riducibile l’amore di Dio all’amore del prossimo. Occorrono tutti e due intrecciati. Celebrare degnamente, santamente e solennemente la liturgia è sublime atto di amore a Dio ed ha valore per se stesso come espressione del primo Comandamento. La liturgia solenne è la massima manifestazione dell’amore a Dio, che è la celebrazione degna e devota della liturgia. Non si può ridurre il cristianesimo ad un amore solo indiretto a Dio tramite il prossimo, ma occorre anche e soprattutto l’amore diretto a Dio espresso dalla preghiera e dalla sua forma più alta e completa, la liturgia. Essa è analoga al primato della vita contemplativa nella Chiesa. La crisi della liturgia, infatti, va di pari passo con la crisi degli Ordini contemplativi. La liturgia non è in primo luogo funzionale alla carità verso il prossimo, ma è un valore assoluto in se stesso, quale necessario atto di amore, di adorazione e di intimità con Dio. Infatti lo scopo della vita umana è questo: Conoscere amare e servire Dio in questa terra per poi goderlo nell’eternità. Non si dà quindi vita cristiana con le sole opere di carità fraterna, ma occorre ancor prima che mediante la liturgia si ami direttamente Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze.
5. ECCLESIALITA’
La liturgia è patrimonio della Chiesa e gli operatori nella liturgia devono rispettare il rito ed essere umili e competenti sevi di esso. In tal modo i fedeli si sentiranno di casa nelle celebrazioni, che risultano come patrimonio comune della Chiesa e non saranno turbati dall’arbitrio dei ministri sacri.