Uno dei temi forti del postconcilio, per quello che riguarda la liturgia, è senz’altro quello che riguarda la cosiddetta “Messa dei giovani”, cioè una Messa che si desiderava tagliata sulle esigenze specifiche di persone in età giovanile. Questo significa proporre anche una musica nella liturgia che corrisponde a quello che i “giovani” comunemente ascoltano, cioè la musica commerciale. Questo fenomeno è interessante e importante, soprattutto se si va ad analizzare il tutto in una prospettiva storica. È quello che cercherò di fare, cominciando proprio dall’analizzare la categoria “giovane”.
L’etimologia di “giovane” è interessante, c’è l’idea di forza ma anche di “colui che respinge”. Il dizionario etimologico intende la gioventù come età intermedia fra adolescenza e virilità, o maturità. Ecco, la gioventù è appunto età intermedia, una preparazione per la maturità, non un assoluto a sè stante. Insomma, la musica liturgica non dovrebbe piegarsi alle “esigenze giovanili”, ma introdurre i giovani alla grandezza e bellezza della liturgia preparandoli ad essere maturi cristiani. Per questo era molto bello coltivare il canto dei bambini, i pueri cantores, dalle cui schiere uscivano sacerdoti, papi, santi, grandi uomini di fede. Insomma, i giovani (intendendo qui anche gli adolescenti), vanno introdotti alla bellezza della musica liturgica con una metodologia propria, ma non come fossero un soggetto separato dallo sviluppo della vita. Lo scrittore inglese Samuel Butler ha detto che per lui la giovinezza è come la primavera che è deliziosa quando si ha la fortuna che le cose vanno bene, ma che in generale essa è difficile da incontrare e la ricordiamo più per venti maligni che per dolci brezze. Forse è un poco pessimistico, ma è vero che dobbiamo assolutamente fare attenzione nel non rendere questa età come fosse il paradigma di tutta la vita, scindendola dalla necessaria consequenzialità con la fase matura. Inoltre dobbiamo ben sapere come la gioventù sia una età di forte irrequietezza, il che faceva dire al politico cileno Salvador Allende che essere giovane e non essere rivoluzionario dovrebbe quasi essere considerata “una contraddizione biologica”. Questo soltanto sarebbe il motivo per vedere la formazione della gioventù come preparazione dell’avvenire e non come esaltazione di un tempo bello, ma anche molto fragile. Del resto ci dice un analista geopolitico acuto come Dario Fabbri, che i popoli più disposti bellicosi sono quelli con una popolazione mediamente più giovane, e questo dovrebbe ben metterci in guardia dall’esaltare una età che come ho detto, è di passaggio e non è un assoluto.
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