Oggi forse non ci si fa più caso, ma dobbiamo pensare che Roma è stata un tempo non solo un faro spirituale, ma anche un faro di civilizzazione e arte. La città detta “eterna”, fu meta di artisti di ogni tipo, che fondarono nell’urbe insigni scuole di arte e musica.
Ecco perché per la musica sacra si parla di “scuola romana”, quel gruppo di musicisti che nei secoli ha prodotto musica splendida per la liturgia. Ben ne parlava san Pio X quando nel suo Motu proprio del 22 novembre 1903, parlando delle qualità della musica sacra, affermava:
“Le anzidette qualità sono pure possedute in ottimo grado dalla classica polifonia, specialmente della Scuola Romana, la quale nel secolo XVI ottenne il massimo della sua perfezione per opera di Pier Luigi da Palestrina e continuò poi a produrre anche in seguito composizioni di eccellente bontà liturgica e musicale. La classica polifonia assai bene si accosta al supremo modello di ogni musica sacra che è il canto gregoriano, e per questa ragione meritò di essere accolta insieme col canto gregoriano, nelle funzioni più solenni della Chiesa, quali sono quelle della Cappella Pontificia. Dovrà dunque anche essa restituirsi largamente nelle funzioni ecclesiastiche, specialmente nelle più insigni basiliche, nelle chiese cattedrali, in quelle dei seminari e degli altri istituti ecclesiastici, dove i mezzi necessari non sogliono fare difetto”.
Questa preminenza della scuola romana era del resto già ampiamente riconosciuta nel passato e il ruolo del Palestrina come modello era ben chiaro a tutti coloro che avevano a che fare con la musica di Chiesa. I Pontefici non fecero altro che sanzionare quanto era già stato ben compreso da tutti.
A 25 anni dal Motu proprio di san Pio X, Pio XI ribadì l’importanza della scuola romana nella Costituzione Divini Cultus, in cui tra l’altro diceva:
“Noi vogliamo qui raccomandare a chi spetta anche le cappelle musicali che, succedendo nel tempo alle antiche scuole, furono istituite nelle basiliche e nelle chiese maggiori per eseguirvi specialmente musica polifonica. Ora la polifonìa sacra tiene legittimamente il primo posto dopo il canto gregoriano, e Noi vivamente desideriamo che tali cappelle, come fiorirono dal secolo XIV al secolo XVI, così vengano ricostituite e si rafforzino soprattutto dove la maggiore frequenza ed ampiezza del culto divino richiedono un maggior numero di cantori ed una scelta più accurata. Quanto alle scuole dei fanciulli, esse devono essere istituite non solo presso le chiese maggiori e le cattedrali, ma anche presso le chiese minori e le parrocchiali, e i fanciulli vi vengano educati al bel canto dai maestri di cappella, affinché le loro voci, secondo l’antico costume della Chiesa, si aggiungano ai cori virili, specie quando nella musica polifonica è affidata ad esse come fu sempre, la parte di soprano, ovvero del cantus. Dal novero di questi fanciulli, specie nel secolo XVI, uscirono, come è noto, i migliori compositori di polifonìa, fra i quali il più grande di tutti, Giovanni Pierluigi da Palestrina”.
Pio XII, parlando del Giubileo del 1950, così si espresse parlando di Roma:
“Non resta altro, o diletti figli, che sollecitarvi con paterna esortazione a venire a Roma in gran numero durante l’anno di espiazione; a Roma che per ogni fedele di ogni Nazione è come la seconda patria; perché qui è il luogo venerando dove fu sepolto il Principe degli Apostoli dopo il suo martirio; qui i sacri ipogei dei martiri, le celebri basiliche, i monumenti della fede avita e dell’avita pietà; qui il Padre che li attende con tenero affetto, a braccia aperte” (Iubilaeum maximum 1949).
Ma abbiamo ancora quel senso della romanità della Chiesa? Perché perdendosi questo, si perde anche il senso dello splendore delle liturgie, ad esempio di quelle della città di Roma. Roma oggi non è un esempio per la musica sacra, anzi. Purtroppo si è sposato un minimalismo che richiede di avere il minimo indispensabile nella liturgia e spesso neanche quello. E io non dico questo per essere negativo, ma per essere realista. Per troppo tempo ho osservato sperando che ci fosse un cambio di rotta, ma è ovvio che non ci può essere una inversione di rotta quando si crede che la direzione attuale sia quella giusta. Parlando con molte persone, molti sacerdoti, c’è un grido unanime: la situazione della Chiesa è in forte declino e quella riforma liturgica a cui tanto si è dedicato, nel suo essere un rinnovamento nella bellezza non si è mai applicata. Ma veramente il Concilio Vaticano II voleva un clericalismo sempre più soffocante (anche se ben mascherato), cacciare musicisti dalle chiese per sostituirli con suonatori di chitarra della domenica, preti chiacchieroni che infarciscono la Messa dei loro pensieri, canti lagnosi e sentimentalistici? Io ho parlato con varie persone che il Concilio lo hanno fatto e vissuto e la loro risposta a queste mie domande è stata netta: no! Queste cose sono il frutto di una ideologia che si è servita del Concilio per introdurre idee che con lo stesso nulla avevano a che fare.
Roma dovrebbe essere il modello per gli altri, qui dovrebbe esserci il meglio, ecco come è sorta una “scuola romana”. Se un giorno si scriverà la storia del nostro presente per ciò che riguarda la musica per la liturgia, dovrebbe essere chiamata “Lamentazioni”.
Nel 1824 l’apologeta Alessandro M. Tassoni nel suo monumentale trattato La religione dimostrata e difesa (di cui parla anche il grande poeta romano Giuseppe Gioachino Belli) diceva: “Avendo la religione in Roma la primaria sua sede, convenevol cosa è eziandio che il culto vi sia più che altrove magnifico e maestoso”. Leggere oggi queste parole mentre si ascolta la musica che viene prodotta nelle liturgie delle chiese di Roma fa sorridere amaramente.