Ci sono santi che sono più presenti nell’immaginario collettivo, come San Francesco d’Assisi, Santa Rita da Cascia, Sant’Antonio da Padova ed altri. Ma la storia della santità contiene altri esempi, non meno splendidi, di uomini e donne che si sono dati con radicalità per seguire il loro Signore.
Uno di questi era Paolo Francesco Danei (1694-1775), conosciuto nella vita religiosa come Paolo della Croce, fondatore della congregazione dei Passionisti. Un uomo che sceglie la radicalità del Vangelo, che significa anche solitudine ed isolamento all’interno della Chiesa stessa.
Domenico Agasso così ce lo descrive in un breve profilo apparso su santiebeati.it:
“Ecco uno che rema contro corrente per tutta la vita. E’ Paolo Francesco Danei, di famiglia nobile per origine e malconcia quanto a denari. Il padre commercia con poca fortuna tra Piemonte e Liguria e lui lo aiuta, essendo il primo di 16 figli. Ma ha poi certi progetti personali: creare un Ordine religioso, ad esempio; o combattere contro i Turchi... Infine si fa eremita, dapprima per conto proprio; a 26 anni, il suo vescovo gli consente di vivere in solitudine presso una chiesa di Castellazzo Bormida (Al). Qui egli matura l’idea di un nuovo Ordine e nel 1725 papa Benedetto XIII lo autorizza verbalmente a “raccogliere compagni”. Ne raccoglie uno: suo fratello Giovanni Battista. E intanto definisce meglio il progetto: farà esattamente ciò che all’epoca risulta più impopolare. Questa è una pessima stagione per gli Ordini religiosi, tra l’avversione dei governi, le rivalità tra loro e la debolezza nella Chiesa; a papa Clemente XIV, nel 1773, si imporrà la soppressione della Compagnia di Gesù. E’ anche il tempo della fede sopportata da molti solo quale condimento di pii languori, motivo di ritualità elegante; una fede che non parli di sacrificio e nasconda la Croce. Allora lui comincia col chiamarsi “Frate Paolo della Croce”. Poi fonda un “inopportuno” nuovo Ordine, detto dei “Chierici Scalzi della Santa Croce e della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo”. Apertamente. Sfacciatamente, sicché tutti capiscano che lui e i suoi predicano Cristo crocifisso come Paolo apostolo, qualunque cosa esiga o imponga lo “spirito dei tempi” e qualunque smorfia facciano gli abati di corte. Nel 1727 è stato ordinato prete dal Papa stesso. Ha assistito i malati di un ospedale romano col fratello. Poi, ritirati sul Monte Argentario, i due hanno visto arrivare altri giovani, affascinati da quella scelta così rudemente “contro”. Sono i primi Passionisti, che il fondatore educa come predicatori agguerriti: invece dei Turchi, attaccheranno l’ignoranza, l’irreligiosità, l’abbandono del Vangelo. Per questo i Passionisti sono chiamati da ogni parte, e l’Ordine riceve via via le successive approvazioni pontificie. Il fondatore lavora alla loro formazione da vicino e da lontano: restano di lui duemila lettere, ma ne ha scritte molte di più, forse diecimila. Nel 1750 ha predicato a Roma per il Giubileo, insieme a san Leonardo da Porto Maurizio. Papa Clemente XIV gli chiede spesso consiglio, e va di persona a trovarlo in casa quando è malato. Così farà il suo successore Pio VI, appena eletto”.
Chi ha una chiamata più alta non attende di essere onorato dagli uomini, pur se rivestiti di vesti ecclesiastiche, ma mette il suo destino nelle mani di Dio, quel Dio che sa qual è la strada migliore per raggiungerlo.
Il padre passionista Enrico Zoffoli, che mi fu maestro, in un suo breve profilo sul suo fondatore (a cui dedicherà una biografia in tre volumi che ancora oggi fa riferimento sul tema), diceva:
“Ma dall’abisso in cui si vede abitualmente sepolto, serba vigile la sua fede di membro del Corpo Mistico: membro, vivo nel suo Spirito, nella più incondizionata adesione al Papa, nel più cordiale rispetto del Clero. Per lui, lo studio e l’attività missionaria non potevano aver altro scopo che di capirne la dottrina e diffonderne il magistero, quando appunto questo era più insidiato dalle raffiche dell’illuminismo” (“Paolo della Croce”, 1975 Edizioni Dehoniane, pag. 51).
Questo saper abitare l’abisso è caratteristica di tutti i santi, questo vedere la miseria delle nostre vite e prendere fra le mani i propri fallimenti è proprio di chi è investito di una luce superiore. Solo chi accetta di abitare l’abisso può vedere la luce alla fine di questo. Solo chi accetta la croce può attendere con fiducia la risurrezione. Solo chi accetta di camminare per la via stretta vedrà aprirsi davanti a lui la strada della via eterna.
Nel Diario Spirituale di san Paolo della Croce, scritto tra il 1720 e il 1721, leggiamo alla data del 25 novembre:
“Lunedì, fui nell'orazione insensibile et anche distratto; nella S. Comunione nel principio fui raccolto, e poi cessò. Il più fervore che sentissi, et anche con qualche lagrima, fu di notte, pregando il Signore per la S. Chiesa e per i peccatori, e perché si plachi per quest'imminente flagello, che merito per li miei peccati, e altre preghiere che qui non scrivo. Il resto del giorno fui pieno d'afflizione, di malinconia, et anche tentato di compassione verso la casa; mi rendeva fastidio il vedere le genti, il sentirli passeggiare, il suono, le campane; insomma mi pareva che avessi il cuor sepolto, senza alcun sentimento d'orazione. E pure non mi sovvenne di desiderarne il sollievo, e mentalmente son contento d'averle; ma questa contentezza non si sente, perché in questo tempo vi è del travaglio, e particolare; è una certa contentezza, che sia fatta la Volontà SS.ma del nostro caro Dio, e questa sta sepolta come sotto le ceneri nel più segreto dello spirito; so che è difficile a spiegarmi, perché chi non prova è difficile intendere”.
Molto bella l’idea che la volontà di Dio è come sepolta sotto le ceneri, nel punto più segreto del nostro spirito; si fa fatica a trovarla, ma quando la si è capita, viene abbracciata per sempre. Questo ci fa anche comprendere come la vita spirituale su questa terra non sia un paradiso anticipato. Quanta sofferenza si è creata perché alcuni hanno voluto creare paradisi artificiali su questa terra. Invece la vita spirituale è anche tormento e sofferenza, tanto da far dire a san Paolo della Croce una frase che con la mentalità del mondo sembra una pazzia: “Stimate più di un tesoro chi ci fa soffrire”
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