Io penso sia importante riflettere sulla necessità per la solitudine del prete, una solitudine che come per il monaco è conveniente alla sua vocazione. Certamente il sacerdote deve coltivare anche rapporti umani, avere amici, ma sempre mantenendo quella separazione fra lui e le preoccupazioni di questo mondo, una preoccupazione che non è disinteresse ma semplicemente protezione del suo ruolo e della sua “indipendenza” in mezzo agli altri. Avere cura di una famiglia, come sanno tutti quelli che sono impegnati nella vita familiare, è una cosa molto complessa, e i legami che si formano all’interno della famiglia possono distrarre dal legame fondamentale che il sacerdote mantiene con la sua comunità, un legame in cui lui appartiene comunque solo a Dio e non a questa o quella donna.
E se un sacerdote si sposa e ha una famiglia numerosa? E molti figli e quello che la Chiesa cattolica incoraggia a fare. Non sarebbe questo un po’ di impedimento alla sua missione? Non voglio entrare nei motivi teologici, che sono senz’altro profondi, ma ci sono dei motivi pratici che suggeriscono di pensare con attenzione all’importanza della solitudine del sacerdote, che non significa isolamento affettivo, ma significa vocazione straordinaria che cerca di non essere impedita dalle pur lodevoli cure del mondo.