Maestro Aurelio Porfiri: oltre le etichette, difensore di una musica liturgica autentica
Jan van Elzen
Riproduciamo questa intervista ad Aurelio Porfiri pubblicata su Korazym il 4 settembre 2024.
Aurelio Porfiri è nome abbastanza noto per i lettori del nostro blog. Compositore, direttore di coro, musicologo autore ed educatore, è sempre molto attivo nel mondo culturale di ispirazione cattolica. La sua newsletter Liturgia e musica sacra [QUI] è molto seguita. Abbiamo pensato di fargli qualche domanda.
Maestro Porfiri, i suoi scritti, oltre che in Italia, vengono pubblicati negli Stati Uniti e in Francia e non di rado tradotti da vari blogs per i lettori di lingua tedesca o spagnola. Come vive questa situazione?
Certamente mi fa piacere che le mie idee possano giungere ad un pubblico più vasto. Io cerco sempre di parlare con equilibrio ed evitando fanatismi, che non fanno bene a nessuno.
Alcuni la ritengono un tradizionalista.
Ho sempre rifiutato questa etichetta. Cerco di essere un buon cattolico (e non ci riesco neanche tanto bene), non mi serve una etichetta ulteriore per connotarmi. Poi tradizionalista per cosa?
Lei difende il latino nella liturgia, il canto gregoriano, l’uso dell’organo a canne, la polifonia.
Cose del resto difese anche nella Sacrosanctum Concilium. Allora è un documento tradizionalista? Io vorrei che anche nella nuova liturgia ci possa essere quel contributo di bellezza attraverso l’arte, la musica. Una persona di rilievo del mondo tradizionalista una volta mi disse che se avessero potuto assistere a Messe nel nuovo rito celebrate con vera reverenza e senza rinnegare quanto di bello ci ha tramandato la tradizione, allora forse il tradizionalismo non avrebbe avuto ragione di esistere. Non so quanto è vero, ma una qualche verità c’è.
Non si possono fare cose buone per la musica nelle lingue vernacolari per la liturgia?
Certamente! Ci sono autori che hanno scritto bella musica nelle lingue vernacolari, composizioni che a volte prevedono l’intervento dell’assemblea, altre volte sono riservate al coro. Ma purtroppo non è quello che ascoltiamo in gran parte delle nostre liturgie.
Qualche esempio?
Citando qui solo autori deceduti e che in parte ho avuto la fortuna di conoscere e frequentare, penserei ad Antonio Martorell, Alberico Vitalini, Luciano Migliavacca, Colin Mawby, Enrico Capaccioli e potrei continuare. Eppure è molto raro che si ascolti nelle nostre chiese la loro musica, si ascolta ben altro! Qualche loro canto stancamente sopravvive, musica realmente liturgica. Ora la musica nella liturgia è in una fase di stanca, purtroppo il degrado, assecondato anche da case editrici e riviste che si professano cattoliche, ha corrotto il gusto delle persone.
Anche i musicisti avranno qualche colpa?
Tranne lodevoli eccezioni, molti musicisti – magari anche preparati tecnicamente – sono veramente digiuni del senso della liturgia. Ma se non si ha questo, tutta la competenza va a farsi benedire (metaforicamente). Ma c’è anche il caso contrario, persone magari ripiene di un apparente zelo liturgico che, protetti da qualche cordata, propagano le proprie nullità musicali.
Forse nelle chiese più importanti la situazione è migliore?
In alcuni casi forse, ma pure lì la situazione è triste assai. Si preferisce affidarsi a persone che magari coltivavano la musica come hobby e che si sono distinte solo per essere servili, al solo scopo di conservare il loro posto. Io invece vorrei dire ai sacerdoti, canonici compresi: litigate con i vostri musicisti ma proteggeteli se capaci, se possono veramente contribuire alle liturgie attraverso la loro arte. È vero che uno spazzino, un ragioniere, un medico, un avvocato, un salumiere, può essere anche un bravo musicista, ma non è sempre il caso. Se la vostra chiesa ha problemi all’impianto elettrico, chiamate un elettricista che vi mette davanti al problema in modo sincero e onesto o vi affidate a coloro che pretendono competenza per intascare il guadagno? Se le cantorie potessero parlare…e forse un giorno parleranno.