Credo non sia fuori luogo fare una premessa: chi scrive non ha pregiudizi di sorta verso la musica leggera, o pop, o commerciale.
Questa musica ha una sua funzione ed è giusto che la assolva.
Semplicemente questa funzione non è quella liturgica.
Ora, qualcosa che sembrerebbe così facile da capire è invece non compreso da moltissimi operatori liturgici e musicali.
Dopo il Vaticano II, si sono diffusi repertori che nulla hanno a che vedere con la tradizione musicale e un sano progresso della stessa.
Si potrebbe obiettare che non c'è nulla di male e che la Chiesa non ha preclusioni verso nessuno stile.
A queste obiezioni è fin troppo semplice rispondere e cercherò di farlo brevemente qui.
Sul fatto che non c'è nulla di male si può obiettare che invece c'è molto di male, in quanto quegli stili che vanno sotto l'ombrello della denominazione "musica leggera" (ovviamente, come tutte le definizioni, molto deficitaria) hanno alcuni elementi che sono di per se in opposizione allo scopo dell'agire liturgico:
a) Il prevalere dell'elemento ritmico;
b) grande uso di sentimentalismo;
c) associazioni extra liturgiche.
In ogni brano musicale c'e' un elemento ritmico, naturalmente.
Nel caso della musica pop e rock questo elemento diviene spesso prevalente con associazioni ad un certo primitivismo ritmico ascrivibile a suggestioni puramente dionisiache piuttosto che alla ragionevolezza e linearità dell'apollineo.
Cosa si vuol dire? Pur se Friederich Nietzsche (Nietzsche, 2015) ci ha insegnato essere i due elementi inscindibili nella nascita della tragedia greca, il prevalere del dionisiaco favorisce caos, trance, disordine.
Il ritmo preso a se stesso è mero invito all'uscire da se stessi verso il vuoto, non verso un pieno che dovrebbe essere lo scopo dell'azione liturgica.