Senza dubbio uno dei compiti dello studio delle notazioni fu quello di presentare in maniera sistematica un abbondante, e interessante, affiancamento dei segni che arricchiscono in maniera considerevole la “povertà” dell’uniforme notazione quadrata. Non intendo con questo dire che la notazione quadrata, così come appare alla fine del XII sec. e all’inizio del XIII, sia in sé povera. Però la notazione quadrata costituisce un’importante semplificazione dei segni che fino ad allora utilizzavano le notazioni dei neumi totalmente “in campo aperto”.
È vero che in questa epoca i neumi “puri” subivano già segnali di decadenza e soltanto alcune scuole conservavano determinati dettagli che rivelavano gli splendori del passato. Sarà tuttavia a partire da questo momento, a causa dell’influenza della polifonia e con essa l’apparizione della musica mensurabilis, che la notazione del canto piano comincerà a “contaminarsi” con le forme neumatiche che indicavano precisi ritmi metrici. Se lasciamo al margine alcune sopravvivenze specifiche, sarà gradualmente la notazione quadrata ad affermarsi: scrivendo tutto il corpus monodico e nel corso del secoli XIII- XV essa assisterà al completo eclissarsi delle rimanenti scuole di notazione, ragione per cui in alcuni luoghi (la Spagna fra questi) si è cominciato nel XVI sec. a tentare una conservazione delle vestigia del passato.
(da L’interpretazione del canto gregoriano tardivo alla luce della semiologia)