Abbiamo visto alcuni punti importanti per quello che riguarda la liturgia sinodale.
Notiamo cone sia particolarmente importante l’idea del camminare insieme, ma ovviamente è lecito domandarsi, camminare verso dove. Perché se è vero che il cammino è importante, ancora di più è la meta. E la meta, come dice il documento, è il Regno di Dio. Per fare questo, mi sembra una logica conseguenza, dobbiamo rimettere Dio al posto che gli compete anche, e soprattutto, nella liturgia.
La liturgia non è il luogo dove i gruppi rinegoziano la propria identità, ma essa è il luogo in cui ci mettiamo alla presenza di Dio e otteniamo, attraverso la mediazione della Chiesa, i mezzi per la nostra santificazione. Nella Messa noi diciamo “noi TI lodiamo, TI benediciamo, TI adoriamo, TI glorifichiamo”. Dobbiamo essere molto attenti nel mettere noi al centro della liturgia, le nostre esigenze e i nostri bisogni. La liturgia manifesta Dio per primo, se essa non ha questo scopo fondamentale, allora diviene una semplice riunione umana, più o meno interessante.
Dobbiamo anche essere attenti a non dare un senso troppo ampio a quanto detto nel documento del Sinodo sul
“riunirsi in assemblea ai diversi livelli della vita ecclesiale, l’ascolto reciproco, il dialogo, il discernimento comunitario, il formarsi del consenso come espressione del rendersi presente di Cristo vivo nello Spirito e l’assunzione di una decisione in una corresponsabilità differenziata”.
Questo può essere un mezzo ma non deve essere un fine. La Chiesa non è un gruppo di persone che si mettono insieme per decidere su qualcosa, ma una comunità di fedeli che per primo si mettono all’ascolto di Dio e sulla scia della santa tradizione della Chiesa, una tradizione non vista come un blocco di ghiaccio da conservare in frigorifero, ma come quello sviluppo organico suggerito dal Vaticano II:
“Infine non si introducano innovazioni se non quando lo richieda una vera e accertata utilità della Chiesa, e con l'avvertenza che le nuove forme scaturiscano organicamente, in qualche maniera, da quelle già esistenti”.
La Sacrosanctum Concilium ci suggerisce una continuità e nessuno può convincermi che le Messe con le chitarre, i preti showmen, le bizzarrie introdotte selvaggiamente nella liturgia, sono uno sviluppo organico delle forme precedenti. Se è vero che alcuni possono avere un’idea della tradizione come un rifugiarsi del passato per non affrontare le sfide del presente, altri la disprezzano come se essa fosse l’ostacolo ad una liturgia più vera. Ma questo è profondamente sbagliato. Io credo che la persona che veramente ama la tradizione debba provare la sofferenza dell’apostolo di cui ci parla Gustave Thibon, quando dice:
“Non voglio conquistarti, non voglio che tu sia del mio parere, voglio solo donarti questa verità così indipendente da me quanto la luce del giorno; vorrei che anche tu vedessi il sole! È colpa mia se la verità è anche la mia verità?”.
La Chiesa non è un parlamento dove si fanno rivendicazioni o dove si conquista il consenso, ma è il luogo in cui mettersi alla presenza della Presenza. Se non è questo, è una istituzione umana come le altre. Proprio per questo cerchiamo di andare ancora più in profondità nel documento del Sinodo per cercare di comprendere di cosa parliamo quando menzionamo una “liturgia sinodale”.