Lo ammetto: mi piace entrare nelle chiese vuote. Il silenzio, la solitudine, il raccoglimento che si respira in questi spazi, sento che mi parlano in modo tutto speciale. Mi sembra potermi richiamare a Giacomo Leopardi che diceva: “Ma sedendo e mirando, interminati Spazi di là da quella, e sovrumani Silenzi, e profondissima quiete Io nel pensier mi fingo; ove per poco Il cor non si spaura”.
Le chiese vuote sono piene di presenze che si manifestano nel silenzio e sembra di essere convocati ad un incontro di cui sei l’ospite d’onore. Sembra che quelle superbe architetture, quelle statue, quegli organi muti siano lì solo per te, per accogliere i sospiri del tuo cuore e per asciugare le lacrime dei tuoi occhi. E io anche immagino le tante persone che sono lì passate, secoli prima, che hanno pregato nel banco in cui io le sto pensando. E mi sento stranamente unito a loro, come se misteriosamente potessimo darci la mano.
Le chiese vuote sono comunque piene di Dio, della sua presenza che aleggia sui banchi e sopra le canne dell’organo oramai impolverate. Egli è lì nel tabernacolo che attende.
E allora ci sembra che i suoni che vorremmo sentire in tutte le chiese, suoni di lode degni della maestà divina, si diano appuntamento nel nostro animo che per un istante, anche solo per un istante, intuisce il senso del terribile.