Credo esserci pochi santi che hanno la notorietà di san Francesco d’Assisi. È un santo giustamente molto popolare e non solo in ambito strettamente cattolico. Anzi, egli gode di popolarità anche in ambiti che non sono strettamente cattolici.
Questo da una parte è certamente apprezzabile, ma dall’altra sembra aver forzato il grande santo di Assisi in abiti che non sono suoi.
Pochi personaggi storici sono stati manipolati da una certa mitologia come san Francesco. Mi ha fatto piacere leggere alcune dichiarazioni del Vescovo di Assisi, che è anche liturgista, mons. Domenico Sorrentino per una intervista al blog Informazione Cattolica raccolta dal giornalista Bruno Volpe. In questa intervista il Vescovo afferma, tra le altre cose:
“Il suo più grande e rivoluzionario gesto è stato quello di farsi povero materialmente, rinunciando al benessere, ma non per esibizionismo, quanto per fedele vocazione e chiamata del Signore. Ma attenzione a non banalizzare in modo eccessivamente sdolcinato Francesco che sia pur con amore e carità non ha mai fatto sconti, ha seguito rigorosamente la via non semplice del Vangelo e tutti noi sappiamo che obbedire al Vangelo non solo non è semplice, ma richiede sacrificio, lavoro, anche scelte impopolari che ti creano nemici e isolamento. Saper andare controcorrente, ma sempre nell’ amore verso tutti”.
Ha fatto bene il Vescovo a richiamare il rischio che le sovrastrutture costruite su san Francesco ne offuschino poi l’effettiva grandezza. La sua povertà non era pauperismo ed egli fu autentico Cristiano, non la caricatura sdolcinata che ne è venuta da certi film, discorsi o da certe musiche.
È bene non dimenticare che un impulso importante agli studi francescani fu dato dallo storico Paul Sabatier (1858-1928), calvinista e molto vicino agli ambienti del modernismo cattolico. Mario Niccoli nell’Enciclopedia Italiana lo inquadra bene, anche se forse è un po’ troppo benevolo:
“La sua stessa formazione teologica, improntata alle idee protestanti-liberali di L.-A. Sabatier, la dimestichezza con gli ambienti cattolici italiani e francesi lo portarono a partecipare in pieno al movimento modernista (v. la sua opera Les modernistes, Parigi 1909) e "papa del modernismo" egli poté esser definito, per quanto oggi non ci si possa dissimulare che la sua azione in seno al modernismo fu soprattutto esterna e che la sua formazione spirituale, concretatasi indipendentemente dal modernismo, lo doveva lasciare ai margini di quelle preoccupazioni dalle quali era sorto, in ambiente cattolico, il movimento modernista. Allo scoppio della guerra mondiale il S., contro il voto pacifista emesso dalla Società di studî francescani, difese pubblicamente (v. The Times del 22 luglio 1915) gl'ideali per i quali la Francia era scesa in guerra”.
Di questo tema degli equivoci su san Francesco, ha ben parlato lo studioso Guido Vignelli in un suo importante libro, Catechismo Francescano. In questo testo vengono affrontate alcune questioni che riguardano san Francesco. Per esempio quella del pacifismo:
“La mitezza e mansuetudine francescane non hanno nulla a che fare con il pacifismo, anche preteso cattolico. I moderni pacifisti elevano la pace a idolo al quale sacrificare fede, dovere, giustizia e onore cristiani, si proclamano “adoratori della pace” e promuovono marce agitando una multicolore “bandiera della pace” che ha origini settarie e significato anticristiano. Costoro s’illudono che la pratica della “non-violenza” il disarmo unilaterale e la resa senza condizioni assicurino la pace universale; ma in realtà ciò favorisce solo i nemici della Fede e della civiltà. Invece, la pace che san Francesco auspicava e predicava era quella spirituale, assicurata dalla conversione della creatura al Creatore, dalla sottomissione alla divina giustizia, dalla imitazione di Gesù Cristo. La celebre frase – «il Signore vi dia la pace!» – con cui il Serafico Padre soleva salutare i fedeli, esprimeva «l’augurio più alto che poteva concepire: quello del raggiungimento della pace dell'anima per il ricupero di Dio. A ciò, del resto, mirava tutta la sua predicazione penitenziale». Infatti «la pace francescana non è la pace che l’uomo trova in sé stesso, ma la pace che l’uomo trova in Dio quando, (…) nell’umiltà di un perfetto abbandono, si affida a Dio solo»”.
Poi, parlando proprio della liturgia, bisogna sfatare un altro mito, quello cioè che il francescanesimo promuoverebbe una sorta di “pauperismo liturgico”:
“San Francesco non era “pauperista” nemmeno in campo liturgico. Anzi, egli raccomandava che la povertà della sua Regola non impedisse all’Ordine di assicurare nelle chiese un culto decoroso e possibilmente anche fastoso, in omaggio alla regalità del Redentore che vi viene celebrato: «Tutti coloro che amministrano così santi misteri, (…) considerino ch’essi vengono da molti collocati e abbandonati in luoghi indecorosi, trasportati in forma miserevole, ricevuti indegnamente e amministrati senza discrezione. (…) Orsù: di tutte queste cose e delle altre, emendiamoci subito e con fermezza! Dovunque il santissimo Corpo del Signore nostro Gesù Cristo sarà stato collocato e abbandonato in modo illecito, che sia rimosso da quel luogo per porlo e custodirlo in un luogo prezioso». «Voglio che questi santissimi misteri, sopra tutte le altre cose, siano onorati, venerati e collocati in luoghi preziosi». «I calici, i corporali, gli ornamenti dell’altare e tutto ciò che serve al Sacrificio, bisogna averli fatti di materia preziosa»”.
Un grande mistico del secolo passato si è occupato di san Francesco, don Divo Barsotti, e la sua riflessione sul grande santo è raccolta in un libro, San Francesco preghiera vivente. Divo Barsotti è stato una delle intelligenze cattoliche più fulgide della storia recente della Chiesa. Di san Francesco dice, tra l’altro, quanto segue:
“Il B. Tommaso da Celano poteva scrivere di san Francesco che egli non era tanto un orante, quanto piuttosto tutto preghiera: «Non tam orans, quam oratio factus». È la preghiera che rivela il segreto della sua santità. La vita di penitenza come conversione perenne, la vita di amore come comunione con gli uomini, con l'universo e con Dio, la vita di povertà come espressione di libertà e di totale disponibilità a Dio, sono aspetti di una vita che è essenzialmente preghiera. È nella preghiera che egli, vivendo in contatto con Dio, si rinnova continuamente, sempre anelando a una imitazione e trasformazione più perfetta in Colui che contempla; è nella preghiera che vive questa immensa comunione di amore che in Dio gli fa abbracciare l'universo; è nella preghiera che vive un bisogno incontenibile di spogliamento di sé: povero è colui che ha perduto perfino se stesso per non conoscere più che l'amato”.
Forse dobbiamo convenire con padre Barsotti che per comprendere san Francesco dobbiamo di necessità comprendere il suo essere immerso completamente nella preghiera.