Liturgia e musica sacra

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San Marco e il ruggito del leone

San Marco e il ruggito del leone

Aurelio Porfiri

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Aurelio Porfiri
apr 25, 2025
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San Marco e il ruggito del leone
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A volte viene da riflettere su come sia un privilegio poter vivere in certe città ricche di storia e di spiritualità. Pur se i tempi sono estremamente secolarizzati, non possiamo negare che alcune città possiedono una carica spirituale particolare. Pensiamo all’emozione di qualche anno fa per l’incendio nella Cattedrale di Notre Dame a Parigi, alle migliaia di cittadini francesi scesi sulle strade per unire il loro cuore a quello di tanti nel mondo che vedevano bruciare non solo un capolavoro artistico, ma anche un segno della fede di molte generazioni. Pensiamo anche a Gerusalemme, città che raccoglie i fedeli di diverse religioni. Ma pensiamo anche a Roma, la Roma dove si può camminare su strade percorse da santi e martiri, la Roma cristiana delle tante chiese con le loro cupole. La Roma anche del cristianesimo degli inizi.

A volte, si ascoltano voci critiche sul ruolo di Roma nella vita cattolica, e certo non possiamo nasconderci che viviamo oggi in tempi molto complessi per la Chiesa cattolica. Eppure non si può dimenticare che San Pietro e San Paolo versarono il loro sangue proprio qui, la sede dell’impero più grande che sia mai esistito. Non possiamo anche dimenticare che quello che viene considerato il primo vangelo, quello di Marco, fu probabilmente scritto proprio qui a Roma, forse sotto l’impulso di san Pietro.

Sembra che san Marco non fu direttamente discepolo di Gesù, anche se alcuni riferiscono a lui come al ragazzo avvolto nel lenzuolo che seguì Gesù dopo l’arresto. Sappiamo però, come riferito negli Atti degli Apostoli, che fu in stretta relazione con san Pietro e con san Paolo anche durante i loro soggiorni romani. Troviamo testimonianza di questo in vari passaggi, riportati qui da una introduzione al vangelo di Marco contenuta in un sito internet appartenente alla Conferenza Episcopale Italiana:

“Tre volte Paolo cita Marco nelle sue lettere e niente induce a credere che sia un altro personaggio rispetto a quello degli Atti. Mentre scrive ai Colossesi, probabilmente da Roma nell’anno 61 d.C., Paolo manda anche i saluti di Marco: «Vi salutano Aristarco, mio compagno di carcere, e Marco, il cugino di Barnaba, riguardo al quale avete ricevuto istruzioni: se verrà da voi, fategli buona accoglienza» (Col 4,10). Nella stessa circostanza Paolo invia anche un biglietto a Filemone e, nell’elenco dei collaboratori, menziona pure Marco: «Ti saluta Epafra, mio compagno di prigionia per Cristo Gesù, con Marco, Aristarco, Dema e Luca, miei collaboratori» (Fm 24). Infine, nell’ultima sua lettera, poco tempo prima del martirio, verso l’anno 67 d.C., Paolo chiede a Timoteo, che risiede a Efeso, di venire a trovarlo a Roma, portando con sé anche Marco, segno che non è più presente nella capitale: «Solo Luca è con me. Prendi Marco e portalo con te, perché mi sarà utile per il ministero» (2Tim 4,11). Il nome di Marco compare, infine, nella prima lettera di Pietro, scritta anch’essa da Roma verso l’anno 65 d.C., dove risulta stretto collaboratore dell’apostolo: «Vi saluta la comunità che è stata eletta come voi e dimora in Babilonia; e anche Marco, mio figlio» (lPt 5,13)”.

Del suo Vangelo è stato detto che ha un approccio narrativo quasi cinematografico. Era in fondo diretto ai pagani, ai romani, a cui non sarebbe stato efficace mettersi a fare tanti discorsi di tipo spirituale, ma era molto meglio convincerli con esempi e un poco di sana azione:

“La narrazione che l'evangelista Marco fa vi sorprenderà sin dalle prime righe: vi calerà come in un film nella vita di Gesù cominciando dalla predicazione di Giovanni Battista al fiume e dal battesimo di Gesù stesso. Scritto sostanzialmente per i pagani e per coloro che non conoscevano usi e costumi del popolo ebraico, il testo è ricchissimo di commenti su luoghi, costumi e vocaboli, spiegazioni sui significati delle parole e le usanze ebraiche, e questo fatto rende le immagini ancora più concrete e tangibili davanti agli occhi del lettore. Inoltre l'autore insiste più sulle azioni di Gesù che sui suoi insegnamenti: anche se sono ricorrenti parole come “insegnare” e “predicare”, Marco riporta solo quattro parabole (al cap. 4), mentre racconta ben diciotto miracoli” (bibbia.it).

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