Cari amici di Liturgia e Musica sacra,
Un articolo apparso pochi giorni fa su La Nuova Bussola Quotidiana in caso lo avete perso.
Oggi [21 agosto] ricorre la memoria liturgica di san Pio X (1835-1914), ma prima ancora del suo pontificato c’erano stati diversi fermenti di rinnovamento per quello che riguarda la musica sacra.
Già Benedetto XIV, nell’enciclica Annus qui hunc del 1749, condannava la profanità nella musica sacra e affermava che «non c’è alcuno che non condanni il canto teatrale nelle Chiese, e che non desideri una differenziazione tra il canto sacro della Chiesa e il canto profano delle scene». Certamente, la parola di Benedetto XIV fu importante ma non produsse immediatamente i frutti sperati, tanto che nel XIX secolo la musica teatrale sarebbe dilagata nelle chiese. Questo non solo avveniva componendo delle musiche che utilizzavano il linguaggio e le convenzioni in uso nell’opera lirica, ma a volte trasportando in chiesa arie dell’opera lirica stessa a cui venivano cambiate le parole. Un’aria amorosa poteva divenire un Tantum ergo e via dicendo.
Se questo accadeva per la musica vocale, non era meno grave il problema nella musica strumentale, con l’organo che imitava spesso e volentieri (a volte, bisogna dire, con esiti musicalmente geniali) le bande musicali o le ouverture operistiche. I tempi delle esecuzioni a volte si dilatavano a dismisura, visto che le composizioni erano piene di virtuosismi e infiorettature che a volte rendevano i riti sacri una prova di bravura per questo o quel cantante.
C’erano voci che però volevano un cambiamento di direzione radicale e queste voci furono incoraggiate dal Movimento Liturgico originario, quello scaturito dall’azione di dom Prosper Guéranger dell’Abbazia di Solesmes, che promosse la restaurazione del canto gregoriano, che veniva percepito come un canto in fase di decadenza. Da allora, e fino ad oggi, Solesmes è punto di riferimento per tutti gli studiosi di canto gregoriano. Poi, ecco la fondazione in Germania delle società ceciliane, che pure si prefiggevano di riportare nelle chiese il canto gregoriano e la grande polifonia, pur non disdegnando le composizioni moderne che fossero però ispirate dalla grande tradizione musicale della Chiesa cattolica.
Poi ci furono gli articoli su La Civiltà Cattolica del gesuita Angelo De Santi, articoli militanti in favore della riforma della musica sacra e che ebbero una grande influenza su Giuseppe Sarto, che una volta divenuto Papa con il nome di Pio X pensò che il tema della riforma della musica sacra fosse tra i più urgenti da trattare. A pochi mesi dalla sua elezione al soglio pontificio (4 agosto 1903), Pio X pubblicò infatti il motu proprio Tra le sollecitudini (22 novembre 1903).
Per dare forza a questo documento, fortemente influenzato dal De Santi, il Papa lo volle dotare di una forza giuridica molto forte: «E però di moto proprio e certa scienza pubblichiamo la presente Nostra Istruzione, alla quale, quasi a codice giuridico della musica sacra, vogliamo dalla pienezza della Nostra Autorità Apostolica sia data forza di legge, imponendone a tutti col presente Nostro Chirografo la più scrupolosa osservanza». E in effetti da esso scaturì un’azione potente in favore della riforma non solo della musica sacra, ma anche della liturgia. Si innesterà in esso infatti, a torto o a ragione, una nuova fase del Movimento Liturgico ispirata dal monaco benedettino belga Lambert Beauduin che porterà, tra varie vicende, al Concilio Vaticano II.
Con il suo documento, san Pio X intendeva disciplinare la musica sacra che veniva eseguita nelle chiese, presentando anche alcune qualità che la buona musica sacra dovrebbe possedere: santità, bontà di forme e universalità. Il Papa proponeva come supremo modello della musica sacra il canto gregoriano e poi la polifonia rinascimentale, pur non chiudendo le porte ad altri generi musicali che fossero rispettosi delle caratteristiche necessarie alla musica sacra.
L’impatto del documento di san Pio X fu imponente, suscitando grande entusiasmo in molti settori della Chiesa cattolica. Probabilmente non è casuale che san Pio X solo quattro anni più tardi promulgasse un altro documento fondamentale come l’enciclica Pascendi Dominici Gregis, dedicata alla lotta contro il modernismo.
Papa Sarto forse comprendeva che liturgia e musica sacra potessero essere comuni vittime di idee devianti dalla retta dottrina, come in fondo l’esperienza degli ultimi decenni ha confermato. Anzi, la liturgia fu la porta sul retro da cui il modernismo, in apparenza silenziato, poté rientrare nell’alveo cattolico per lavorare nell’ombra a portare avanti un’agenda che prevedeva l’abbraccio, nefasto, con il mondo.