Non penso ci siano molti santi che nella Chiesa cattolica hanno nell’immaginario collettivo la statura di un Sant’Agostino. Spesso lo mettiamo accanto a San Tommaso d’Aquino, proprio perché queste due sono le colonne su cui si basa la sapienza dottrinale della nostra religione. Certamente Sant’Agostino fu un gigante non soltanto della Chiesa cristiana, ma di tutta la civiltà occidentale. È un santo giustamente celebrato per le sue opere di spiritualità, teologia, esegesi, ma soprattutto per due di esse, La città di Dio e le Confessioni. In quest’ultima opera troviamo questo passaggio: “Quante lacrime versate ascoltando gli accenti dei tuoi inni e cantici, che risuonavano dolcemente nella tua chiesa! Una commozione violenta: quegli accenti fluivano nelle mie orecchie e distillavano nel mio cuore la verità, eccitandovi un caldo sentimento di pietà. Le lacrime che scorrevano mi facevano bene”. Ho già commentato altre volte questo passaggio in passato, perché mi sembra particolarmente significativo. Sant’Agostino si occupò molto di musica anche nei suoi trattati, e nel testo citato in precedenza, le Confessioni, parla molto dell’effetto che la musica faceva sugli ascoltatori, un effetto positivo ma che poteva essere anche vissuto come una tentazione, la tentazione di cedere al piacere estetico piuttosto che al contenuto di preghiera che la musica veicola.
Gli accenti fluivano nelle orecchie: prima viene l’ascolto, il nostro è mettersi a disposizione e di un impulso sonoro che ci viene da fuori. Naturalmente dobbiamo educare la nostra capacità di ascoltare, e nostre orecchie vanno educati a discernere quei suoni che veramente possono aiutare la crescita della nostra vita spirituale. La Chiesa cattolica nel passato ha molto investito nell’educare i fedeli all’ascolto di una musica sacra che fosse degna della celebrazione. Certamente non tutti periodi della sua storia i repertori sono stati all’altezza, ma in generale si è stati in grado di accumulare dei tesori di arte e cultura.
Ricordiamo che Sant’Agostino fa precedere queste frasi che stiamo citando dall’affermazione che ha provato “una commozione violenta“. Perché noi abbiamo forse troppo intellettualizzato la nostra esperienza liturgica non pensando che la gran parte di quello che orienta la nostra vita è a livello emozionale, spesso neanche raggiunge il livello razionale. Si è troppo puntato sulla “comprensione intellettuale“, anche nel caso della lingua liturgica. Quando la comprensione più profonda spesso viene fatta ad un livello diverso. Non dimentichiamo l’importanza del ruolo delle emozioni.
Sant’Agostino ci dice anche che quell’ascolto, che lo aveva così commosso, aveva fatto in modo di distillare la verità nel suo cuore, cioè una verità che gli scavava dentro piano piano, con grande pazienza. Il linguaggio della musica, ci parla con pazienza, è una pedagogia che si capisce poco a poco, lo si deve lasciare lavorare nel nostro interno. Allora potranno sgorgare quelle lacrime, di cui parla sempre Sant’Agostino, che ci fanno bene. Perché noi associamo sempre le lacrime con il dolore, ma in questo caso sono lacrime di comprensione profonda, non la comprensione intellettuale, che è soltanto una parte della nostra abilità di comprendere, ma quella comprensione che non sa dire. Come dicevamo prima, la comprensione che sa anche avvolgere le nostre emozioni, la nostra parte più profonda e ancestrale. Ridurre l’esperienza musicale ad un’esperienza funzionale, e non anche estetica, è veramente non comprendere il potere che la musica può avere sull’animo dei suoi ascoltatori. Forse meditare ancora questo testo di Sant’Agostino non può che farci bene. Specialmente in tempi in cui la musica sembra non ricevere quell’attenzione che certamente meriterebbe.