Come si è detto in precedenza, uno dei frutti più evidenti del Movimento Liturgico originario, quello di dom Prosper Guéranger, fu la restaurazione del canto gregoriano.
Questo canto prende il nome da san Gregorio Magno. Anche se non fu il Pontefice a compilarne materialmente il repertorio, a lui viene attribuita la creazione o almeno la sistemazione della Schola Cantorum per il servizio musicale nelle celebrazioni liturgiche: «Oltre al significato di spazio destinato ai cantori, per schola cantorum si deve intendere anche il gruppo dei cantori stessi, generalmente fanciulli dotati di belle voci. Il canto, che fu parte integrante degli uffici liturgici fino dai tempi apostolici, dalla sua severità primitiva a poco a poco trascese in forme più libere degenerando in cori molli e melodie arbitrarie, sicché S. Gregorio Magno pensò di regolarne lo sviluppo e di riportare il canto ecclesiastico alle sue forme severe e liturgiche, fondando a tal uopo in Roma una scuola che dotò generosamente con terre e con due case, l'una presso il Vaticano e l'altra presso il Laterano, fatte costruire appositamente» (Francesco Fornari, Enciclopedia Cattolica). Quindi il grande Papa sembra aver avuto un significativo legame con il canto liturgico, per cui il nome dato al repertorio proprio della Chiesa cattolica sembra appropriato.
La restaurazione del canto gregoriano fu compiuta proprio nell’abbazia di Solesmes con l'obiettivo, secondo l’idea di Guéranger, di andare a ricostruire le versioni melodiche originali che si erano corrotte nel corso dei secoli precedenti. Per farlo si dovevano recuperare i manoscritti più antichi e più affidabili al fine di paragonare le varie versioni. Certamente un lavoro non da poco, specialmente in un tempo in cui viaggiare non agevole e le riproduzioni fotografiche non erano certo al livello attuale.
Fu un lavoro enorme a cui collaborarono alcuni studiosi che facevano riferimento a dom Guéranger, come il canonico Augustin Gontier (1802-1881) e i monaci stessi di Solesmes, dom Joseph Pothier (1835-1923), dom Paul Jausions (1834-1870) e dom André Mocquereau (1849-1930). Se certamente il compito svolto da questi studiosi e da altri fu lodevole e di grande pregio, questi non furono esenti da critiche perché secondo alcuni si trattava di una restaurazione frutto di un’estetica romantica per quello che riguardava la prassi esecutiva; le controversie maggiori vertevano su quale dovesse essere il ritmo di esecuzione del canto gregoriano.
Tra le voci critiche, per esempio, ricordiamo il musicologo francese Jacques Viret, che nella prefazione ad un mio libro, Cantate inni con arte e con suono melodioso (Chorabooks, 2020), tra l’altro afferma: «Nel 1904 Pio X iniziò l'edizione vaticana, che sostituirà l'edizione medicea risalente agli inizi del XVII secolo e contenente una versione molto alterata delle antiche melodie. Per diversi decenni, i Benedettini di Solesmes avevano studiato manoscritti medievali per riprodurre un autentico testo melodico e la loro indagine paleografica sarà la base dell'edizione Vaticana. Tuttavia, poiché cantavano gregoriano secondo l'estetica ceciliana, abbiamo immaginato che anche in questo ambito essi rapprentassero la tradizione. Era totalmente falso: le voci romane autentiche, solidali con l'edizione medicea, erano i cantori che la tenevano in vita, in una forma certamente degradata. Abbiamo quindi sacrificato la tradizione orale dei cantori alla tradizione scritta delle melodie. Queste due tradizioni devono quindi essere sintetizzate; alcuni lo stanno facendo al giorno d'oggi». Sono parole certamente interessanti e che daranno fastidio a qualcuno, ma che nello spirito di una sana indagine scientifica vanno ascoltate e meditate.
Il principio ispiratore del canto gregoriano non può che consistere nel ricentrare il repertorio nel suo rapporto verbo-melodico, nell’essere una simbiosi tra la melodia e il testo. Uno studioso come Fulvio Rampi, in un libro dal titolo Del canto gregoriano. Dialoghi sul canto proprio della Chiesa (Rugginenti, Milano 2015), afferma: «La Parola e il suo primato: nell’insopprimibile anelito di fede verso di essa si forma la poderosa ragione teologico-musicale gregoriana. E con la Parola, inscindibilmente, la sua materialità – non meno sacra del significato – costituita da termini, sillabe, vocali, accenti; tutta quella sonorità con la quale la Parola si è storicamente e foneticamente incarnata è stata recepita e venerata da questo colossale evento ecclesiale plasmatosi nell’ombra dei secoli che noi oggi chiamiamo canto gregoriano. Precisamente nella prospettiva del testo quale nostro filo conduttore occorre mettersi. Da subito». Sono parole importanti e che ci danno una idea molto forte di come sia inscindibile il legame del canto gregoriano con la Scrittura e di come esso sia una forma esegetica della stessa Scrittura, una ruminazione del testo che si scioglie poi nei melismi eleganti del canto liturgico.
Bisogna comunque dire che l’opera di Solesmes verrà appoggiata dalla Chiesa cattolica in modo molto deciso e le edizioni ufficiali di canto gregoriano saranno quelle risultanti dal lavoro di studio dei monaci di Solesmes. Nel secolo XX non possiamo fare a meno di menzionare altri due giganti per gli studi sul canto gregoriano, entrambi monaci di Solesmes: dom Jean Claire (1920-2006) per i suoi studi sulla modalità e dom Eugène Cardine (1905-1988) per quello che riguarda la disciplina della semiologia gregoriana. Sulla scia di Solesmes, altri eminenti studiosi in tempi recenti hanno portato avanti l’investigazione sul canto liturgico proprio della Chiesa cattolica, pensiamo (oltre a quelli già citati) a Nino Albarosa (1933-2023), Luigi Agustoni (1917-2004), Johannes Berchmans Göschl, Guido Milanese, Franz Prassl, Alberto Turco e Giacomo Baroffio.
Il canto gregoriano e la sua restaurazione fu dunque una delle forze portanti nell’ambito della più generale restaurazione della liturgia e della musica sacra.