Anche è vero che ci saranno voci minoritarie che criticheranno alcune posizioni espresse nel Motu Proprio.
Penso al musicologo francese Jacques Viret che nella prefazione ad un mio libro dice: “Secondo Aurelio Porfiri - e siamo d'accordo - una delle cause dell'attuale declino della musica liturgica, è la perdita della voce "romana", vale a dire italiana. Questa vocalità, scrive, è "nobile, fiera, espressiva, non sentimentale"; e il cantante usa le parole cantate come il predicatore fa con le parole dette (l'accento, ad-cantus, è il legame vocale, musicale, tra loro). L'estetica vocale dei cori inglesi, considerata da alcuni la perfezione nella musica sacra, è molto diversa: un'espressione del temperamento britannico, certo, come afferma Aurelio Porfiri, ma anche una derivazione del movimento ceciliano o del Cecilianesimo.
Questo movimento, che apparve in Germania nel XIX secolo, iniziò con una buona intenzione, vale a dire di purificare la musica liturgica dalle sue moderne contaminazioni profane; ma esaltava un'estetica corale segnata dal sentimentalismo romantico, quindi inappropriata rispetto alle antiche polifonie.
Pio X fu un fervente seguace del Cecilianesimo: il 22 novembre 1903, festa di Santa Cecilia, pubblicò il suo Motu Proprio Tra le sollecitudini che riformò la musica liturgica della Chiesa latina secondo la linea Ceciliana. Oltre al canto gregoriano, repertorio ufficiale e tradizionale - ribadito come tale nel 1963 dal Concilio Vaticano II - fu ora accettata solo una polifonia a cappella, di cui Palestrina, gran maestro della scuola romana nel XVI secolo, fornì modelli eminenti. Il prestigio del Palestrina, salutato da Victor Hugo come "padre dell'armonia" (« Puissant Palestrina, vieux maître, vieux génie, / Je vous salue ici, père de l’harmonie, / Car, ainsi qu’un grand fleuve où boivent les humains, / Toute cette musique a coulé de vos mains ! » (« Que la musique date du XVIe siècle », dans Les Rayons et les Ombres, 1840)), si basa in parte sul ruolo decisivo che avrebbe avuto durante il Concilio di Trento per salvare la polifonia che avrebbero pianificato di estromettere dalla liturgia, con il pretesto che impediva ai fedeli di comprendere le parole cantate. Palestrina compose quindi la sua famosa messa di papa Marcello per dimostrare che una polifonia semplificata non interferisce con la comprensione delle parole.
Il ruolo svolto da Palestrina come "salvatore della musica sacra" non è, come è stato affermato, una leggenda inventata dai gesuiti come parte della loro politica controriformistica: si basa certamente su una verità storica. Vedi il nostro articolo “La Messe du pape Marcel et son histoire: légend ou réalité ? », In Regards sur la musique vocale de la Renaissance italienne (dir. J. Viret), Lione, Éditions À Cœur Joie e Strasbourg, Presses Universitaires, 1992, pp. 139-183. Nella stessa opera abbiamo dedicato uno studio dettagliato al pezzo più famoso nel repertorio dei cantori pontifici: "Une oeuvre mitique: le Miserere d'Allegri" (pp. 231-269).
Un altro campione del Cecilianesimo, Lorenzo Perosi (1872-1956) probabilmente collaborò alla stesura del Motu Proprio. Un compositore di talento, ebbe un brillante inizio nel 1890 con una serie di oratori stilisticamente vicini alle opere di Puccini e ammirati in Italia e all'estero. Grazie al cardinale Sarto, futuro Pio X, nel 1902 viene chiamato alla direzione del coro della Cappella Sistina e mantenne questa posizione fino al 1956, a intermittenza perché dal 1907 soffriva di disturbi mentali e neurologici. Domenico Bartolucci, maestro di Aurelio Porfiri, gli succedette fino al 1997” (in Cantate inni con arte e con suono melodioso). Una opinione controcorrente.
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