Non possiamo dimenticare che il 27 aprile 1966 a Roma ci fu la famosa Messa Beat, alla sala Borromini. Alcuni complessi giovanili eseguirono una composizione con testi “liturgici” del compositore Marcello Giombini, con l’appoggio di non pochi liturgisti dell’ambiente dell’Istituto Liturgico di Sant’Anselmo, a cominciare dal padre Salvatore Marsili, insigne studioso di riferimento per i riformatori. Questo evento diede grande scandalo sulla stampa e si cercò di giutstificarlo dicendo che anche la Chiesa doveva parlare i “linguaggi contemporanei”. Ma non ci si deve sorprendere in quanto idee simili si cominciavano a diffondere anche altrove, facendo confusione fra contemporaneo e commerciale nel senso più becero del termine.
Nel 1967 si mette a punto la cosiddetta Messa normativa, cioè l’esempio di quella che sarebbe stata la liturgia riformata. Alcuni mettevano in luce il ruolo che ebbero i protestanti durante il Concilio, ruolo smentito dal padre Bugnini ma sembra confermato da storici recenti. Insomma, ci si muoveva verso un cambiamento radicale nella prassi della Chiesa, anche se non mancavano sacche di resistenza. La musica sacra fu una delle prime vittime di questa furia riformatrice, in quanto il grande repertorio fu giudicato la causa per cui veniva impedita la partecipazione del popolo e quindi, in un certo senso, messo sotto accusa.