Un ospite speciale: Guido d’Arezzo
Non si pensi che lo studio nella Schola Cantorum fosse agevole, in quanto gli studenti dovevano memorizzare tutto il repertorio, tanto che bisognava studiare per almeno nove anni. Non v’era un sistema di notazione musicale che permettesse di fissare con sicurezza le melodie e quindi il ruolo della memoria era fondamentale. Non bisogna farsi ingannare qui dal nostro rapporto con la memoria che è ovviamente molto diverso. Avendo noi molti supporti per aiutare la memoria ne abbiamo in un certo senso atrofizzata una parte, mentre per gli antichi la memoria era certamente qualcosa di molto più sviluppato. Quindi dovremmo essere ben consci che alcuni aspetti del vivere degli antichi, malgrado la nostra protervia filologica, avevano senso solo in quella che era una cultura orale e non basata sulla scrittura. Un bel libro della musicologa americana Anna Maria Busse Berger sulla musica medievale e sull’arte della memoria ci fa vedere come in una civiltà in cui l’oralità aveva una grande importanza la memoria era sfidata in modi che oggi a noi sembrerebbero impensabili.
La Schola Cantorum Lateranense certamente non faceva eccezione e anche qui, studenti e maestri, dovevano mandare a mente una quantità di informazioni impressionante. Eppure non dobbiamo ingannarci e pensare a questa istituzione come ad un sistema gretto. Abbiamo già parlato dello stretto legame tra i Pontefici e la Schola. Allora parliamo un poco di Giovanni XIX che fu papa dal 1024 al 1032. Questo Papa, o i suoi collaboratori, avevano sentito di un monaco, esule dal suo convento, che aveva trovato un nuovo metodo per facilitare memorizzazione e lettura del canto sacro. Proveniva dall’Abazia di Pomposa da cui però era stato esiliato dal 1023. Questo monaco si chiamava Guido, alcuni lo chiamavano Guido Pomposiano ma per i posteri sarà conosciuto con il nome di Guido d’Arezzo.
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