Il grande scisma d’occidente
Abbiamo potuto vedere come la Chiesa cattolica nel XIV secolo dovette affrontare tempi molto difficili. L’esilio avignonese si chiude con il ritorno definitivo a Roma di Gregorio XI, sollecitato anche dalle accorate lettere di santa Caterina da Siena.
Ma il ritorno nel 1377, non fu la fine delle traversie della Chiesa, ma anzi fu il preludio a vicende ancora più dolorose che portarono a quello che viene definito “grande scisma d’occidente”. Vediamo come ce lo racconta lo storico Tommaso di Carpegna Falconieri:
“Nel periodo compreso tra il 1378 e il 1417 si verificò il «Grande Scisma » o «Scisma d’Occidente», durante il quale due (in una fase anche tre) pontefici rivendicarono contemporaneamente la propria rispettiva legittimità, trovando ciascuno largo seguito nei paesi della Cristianità occidentale. Gregorio XI, che nel 1377 aveva riportato la Sede apostolica da Avignone a Roma, morì il 23 marzo 1378. Poiché la gran parte del Sacro Collegio era composta da cardinali francesi intenzionati a riportare il papato in Francia – e poiché ad Avignone ancora permanevano molti uffici di Curia – i romani, per assicurarsi la residenza del papa a Roma, chiesero a gran voce che il nuovo pontefice fosse romano, o “almanco” (almeno) italiano. Dietro le forti pressioni dei banderesi (i capi della Felice Società dei Balestrieri e dei Pavesati, cioè del partito popolare che governava Roma), l’8 aprile 1378 i sedici partecipanti al conclave (undici francesi, uno spagnolo e quattro italiani) elessero Bartolomeo Prignano – Urbano VI, che non era un cardinale ma l’arcivescovo di Bari. Avendo investito il Collegio cardinalizio di aspre critiche e avendo dichiarato di non voler più spostare la sede papale, nei mesi successivi Urbano VI si alienò il favore di quasi tutti (dodici su sedici) i cardinali che lo avevano eletto. Questi si riunirono a Fondi e, dichiarata l’elezione nulla in quanto avvenuta in un clima intimidatorio, il 20 settembre 1378 elessero papa il cardinale Roberto di Ginevra, che prese il nome di Clemente VII e che l’anno successivo si stabilì nuovamente ad Avignone con la propria Curia. Da allora si ebbero due “obbedienze” e due serie continuative di pontefici, uno residente a Roma (Urbano VI, Bonifacio IX, Innocenzo VII, Gregorio XII), l’altro ad Avignone (Clemente VII, Benedetto XIII). Una prima composizione dello scisma fu tentata nel Concilio di Pisa (1409), durante il quale i padri conciliari deposero i due pontefici contrapposti e i cardinali presenti, dissidenti di entrambi gli schieramenti e chiamati “unionisti”, ne elessero un terzo, Alessandro V. Di fatto, anziché risolversi la situazione divenne ancora più complessa e le obbedienze da due divennero tre. Il successore di Alessandro V, Giovanni XXIII, ottenne l’obbedienza della Scandinavia, dell’Ungheria e dell’Impero, tenne un concilio a Roma (1412-1413) e poi uno a Costanza (1414-1415). Poiché gli altri due papi non si erano presentati, a Costanza Giovanni XXIII si riteneva in condizione di vincere la contesa. Essendosi però disfatta la sua alleanza con Sigismondo re di Boemia, che era il vero promotore del Concilio e che considerava i tre papi su un piano di parità, Giovanni XXIII finì con l’essere deposto (29 maggio 1415). Il papa romano Gregorio XII inviò allora la sua dichiarazione di rinuncia al papato (4 luglio 1415), conferendo al Concilio l’autorità per porre termine allo scisma. Il papa avignonese Benedetto XIII, invece, non si piegò e venne formalmente deposto il 26 luglio 1417. Seguì, l’11 novembre, l’elezione di un nuovo papa, decisa da ventitre cardinali delle tre obbedienze: Martino V (Oddone Colonna, 1417-1431), che fu accettato da tutti tranne che da una minoranza ancora fedele a Benedetto XIII (eletto nel 1394, morto nel 1422)“.
Insomma, una situazione estremamente ingarbugliata e possiamo immaginare che ogni Papa avesse i suoi propri cantori, creando una situazione di grande confusione.
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