Oggi, in occasione del Giubileo del volontariato, offriamo questa riflessione.
Mi sembra interessante condividere un ricordo personale che penso possa servire come elemento di riflessione.
Alcuni anni fa, al tempo in cui ero uno degli organisti della Basilica di san Pietro, fui avvicinato da un sacerdote dagli Stati Uniti, che al tempo era vice rettore della chiesa della comunità statunitense a Roma. Mi proponeva di diventare il loro Director of Music. Io rimasi sorpreso da quella proposta anche perché al tempo, più di 10 anni fa, il mio inglese non era come quello di oggi. Comunque accettai, era per me una sfida che doveva essere colta.
La cosa che mi colpì è che accanto all’elenco delle mie responsabilità, furono loro stessi a mettermi subito al corrente della mia remunerazione. Cioè, il lavoro che mi veniva richiesto era un lavoro professionale (e al tempo non ero ancora diplomato al conservatorio quindi, ufficialmente, non avevo i titoli accademici).
Mi colpì molto che il servizio che mi era richiesto era trattato in modo professionale, come lo è quello del sacrista o quello di chi fornisce la chiesa dei fiori. Questo perché, forse a qualcuno sembrerà strano, anche i musicisti devono sopravvivere. Se poi il musicista, come si spera ha altre entrate, può decidere di usare quei soldi come crede, anche per fare beneficenza, ma non si deve ledere il suo diritto di essere pagato e neanche il dovere di chi richiede il servizio di pagare una giusta remuerazione.
Dovetti lasciare questo incarico nella chiesa della comunità cattolica americana dopo 10 anni nel 2008, perché ero stato assunto da una università asiatica. Tornai a Roma nel 2015 e cercai una chiesa dove riprendere il mio servizio di musicista liturgico. Un giorno mi capitò di parlare con il parroco di una importante chiesa in pieno centro, ricca di tesori d’arte e molto frequentata dai turisti. Il parroco sembrava contento della mia offerta di suonare ma, mi disse, non avrei avuto nulla in cambio, magari “solo un caffè a Pasqua” (e che ne sapevo se sarei arrivato a Pasqua? E, comunque, il caffè neanche mi piace). Non accettai.
Parlando del volontariato, che in sè è una cosa molto bella, mi vengono in mente alcune sue sciagurate applicazioni nel campo della liturgia. E io credo che la guida in tutto questo dovrebbe essere la dottrina sociale della Chiesa che a volte, proprio nella Chiesa, sembra essere disattesa. Giovanni Paolo II, nella Laborem Exercens, dice che la remuerazione è lo strumento più importante per realizzare la giustizia nei rapporti di lavora. Addirittura, il compendio per la dottrina sociale della Chiesa, dice:
“Il « giusto salario è il frutto legittimo del lavoro »; commette grave ingiustizia chi lo rifiuta o non lo dà a tempo debito e in equa proporzione al lavoro svolto (cfr. Lv 19,13; Dt 24,14-15; Gc 5,4)”.
Qui si inserisce il discorso del volontariato. Esso nella liturgia e non solo, va ben specificato. Se una persona sceglie di fare del volontariato nella liturgia deve rispondere a certe caratteristiche: prima cosa deve essere debitamente preparato per quello che deve fare: se uno è un pianista e decide di offrirsi per fare l’organista, se vogliamo essere onesti, non sta facendo un buon servizio allasua comunità perché suonare l’organo non è come suonare il piano (ovviamente si capisce che in chiese minori si devono fare compromessi, ma in chiese maggiori? In basiliche? In cattedrali?). Il fatto che questa persona lo faccia volontariamente non rende migliore la cosa, perché ci deve essere prima di tutto la competenza. Io credo ci debba sempre essere per prima la considerazione riguardo la competenza e l’adeguatezza di quella persona all’incarico.
Io conosco un medico che fa volontariato in Africa. Una cosa bellissima, ma è un vero medico. Conosco persone che fanno volontariato negli ospedali, anche una cosa bellissima, ma non è che gli fanno fare cose che sono responsabilità di medici e infermieri. Ecco perché la distruzione del professionismo musicale nelle chiese ci ha portato a questo stato di enorme degrado. Rimettiamoci tutti a leggere i documenti della Chiesa e cerchiamo, nella Chiesa, di applicarli.