Don Enrico Finotti è nato a Rovereto (TN) nel 1953, dopo il liceo ha seguito gli studi teologici presso il Seminario Diocesano di Trento. Ordinato sacerdote nel 1978. Collabora con l’Ufficio Liturgico Diocesano di Trento nei percorsi di formazione liturgica. È curatore della rivista formativa: Liturgia «culmen et fons». Ha tra l’altro pubblicato: L’anno liturgico. Mistero, grazia e celebrazione. Sussidio per la catechesi e la celebrazione dell’Anno Liturgico (Nuove Arti Grafiche, Trento, 2001) - La centralità della Liturgia nella storia della salvezza. Le sorti dell’uomo e del mondo tra il primato della Liturgia e il suo crollo, (Fede&Cultura, 2010) – La liturgia romana nella sua continuità. Nova et vetera. (Sugarco 2011) – Vaticano II, 50 anni dopo (Fede&Cultura 2012).
Questo testo è tratto da Se tu conoscessi il dono di Dio.
Spettabile redazione vorrei un chiarimento: nel mio recente pellegrinaggio a Roma il nostro parroco ha celebrato sovente ad un altare laterale delle basiliche che abbiamo visitato. Ma ciò è possibile dopo la riforma del Concilio?
(lettera firmata)
Questa domanda è quanto mai opportuna perché in sintonia col tema trattato in questo numero della rivista Conversi ad Dominum. Si deve riconoscere che celebrare la parte sacrificale della Messa (dall’offertorio alla comunione) rivolti nel medesimo senso verso il quale guarda l’intera assemblea, secondo la tradizione costante della Chiesa, suscita in modo immediato ed efficace quel comune (sacerdote e popolo) guardare ad Deum che è costitutivo della liturgia. Tale orientamento si realizza anche quando si celebra sull’antico altare al di là del fatto che la chiesa sia fisicamente orientata: tutti sono rivolti al Signore secondo l’invito del prefazio: Sursum corda. Habemus ad Dominum.
Occorre osservare che la celebrazione verso il popolo è una soluzione ancora recente, che necessita di ulteriore valutazione. Infatti il volgersi ad oriente è la norma originale, antica e secolare dell’intera Chiesa, in oriente e in occidente. Ne è eloquente testimonianza la prassi liturgica ancor attuale di tutte le liturgie orientali. Il diritto liturgico vigente, tuttavia, considera ambedue le posizioni: quella antica e sempre valida del volgersi all’altare classico con al centro la croce (l’oriente liturgico) e quella postconciliare di volgersi verso l’assemblea dei fedeli su un altare nuovo fisso o mobile, pur con l’orientamento interiore sempre ad Deum.
Il fatto che in questi ultimi decenni postconciliari si sia adottata la soluzione ad populum non significa che in un clima di rinnovata e competente riflessione si possa ritornare ad un equilibrio più saggio che non dimentichi l’orientamento rituale ad Patrem, ma lo integri con animo sereno con la nuova modalità ad populum. Ciò ha per molti un sapore anticonciliare e tradizionalista, ma non è così per chi vuole essere intellettualmente onesto, teologicamente preparato e pastoralmente sensibile.
E’ bene mettere in evidenza anche alcune possibili derive della attuale prassi ad populum:
1. La riduzione della Messa da sacrificio a sola mensa. Le due anime sono essenziali e indissolubili, ma richiedono ambedue una adeguata espressione visibile: il volgersi al Padre nella prece eucaristica si compone col volgersi ai fedeli nella santa comunione. Nella celebrazione esclusiva e permanente ad populum la spinta ascendente del Sacrificio (offertorio-canone) è ritualmente più debole, mentre il rapporto orizzontale del convivio (comunione) tende ad essere totalizzante.
2. L’incrinatura dell’unicità dell’altare e della sua continuità storica. Un altare posticcio permanente pone il problema di un duplice altare e della dignità dell’altare stesso, inoltre crea una frattura nella continuità sempre attuata con l’altare di sempre. Gli altari storici e monumentali devono essere totalmente abbandonati? Si tratta di valutare la diversa configurazione tipica di ogni chiesa.
3. Il sacerdote non appare più in atto sacrificale rivolto in persona Christi ad Patrem portando su di sé il popolo cristiano. Infatti se quando insegna (ambone) o guida (sede) l’assemblea con l’autorità del Signore si volge al popolo, quando invece rende presente il sacrificio incruento dell’altare si deve rivolgere al Padre con quelle modalità rituali inequivocabili che configurino il sacerdote nel medesimo modo che il Signore stesso assunse immolandosi sulla croce. La centralità della croce ribadita da Benedetto XVI, anche e soprattutto per l’altare al popolo, vuole assicurare questa dimensione sacrificale, che tende a non essere più percepita.
In conclusione è necessario accogliere con pari rispetto le due modalità oggi previste dalla Chiesa senza voler escludere in modo polemico una a scapito dell’altra. E’ necessario che vi sia nella Chiesa un rinnovato clima di accoglienza per permettere a sensibilità e tradizioni diverse di attuare senza inutili discriminazioni le due forme di celebrare il divin Sacrificio.