Come molti di voi sapranno, non molto tempo fa mi sono trovato invischiato in una piccola polemica con la Santa casa di Loreto, per via di un mio articolo su La nuova bussola quotidiana, in cui contestavo il fatto che ai cantori professionisti di quella storica cappella musicale era stato chiesto di cantare in regime di volontariato. Questa polemica, ha avuto delle ripercussioni anche su altri organi di stampa. Fatalità, proprio in quei giorni, stava uscendo un mio libro che si chiama “Non ti pago!“. In questo libro, affronto proprio questo problema del trattamento economico dei musicisti di Chiesa. Al libro, voglio rimandare per tutti gli approfondimenti. Vi invito a leggerlo in modo da poter capire che dietro il mio ragionamento non c’è nessuna venalità ma soltanto un desiderio di giustizia. Qui, voglio riassumere tre motivi per cui è giusto pagare i musicisti che prestano servizio nella liturgia.
Se si desidera la qualità, bisogna investire nella stessa. La qualità, richiede studio, applicazione, fatica; queste cose, vanno sostenute, vanno supportate, non vengono così gratuitamente. Un musicista studia continuamente nella sua vita, ma i regolari corsi di studio, per coloro che li affrontano, durano anche 10 anni. È giusto che, quando il musicista è in grado di mettere a disposizione della comunità cristiana i talenti ottenuti con così tanta fatica, la stessa comunità cristiana possa in qualche modo sostenerlo.
Il codice di diritto canonico, dice che coloro che prestano un servizio per la la Chiesa cattolica, se questo servizio è continuativo, devono essere remunerati. Queste, sono nozioni basilari di dottrina sociale della Chiesa. Inoltre, ricordiamo che non corrispondere la giusta mercede all’operaio grida vendetta al cospetto di Dio. Questo non toglie che ci possa essere qualcuno che desidera svolgere dei servizi per la Chiesa come volontario. Le due cose non sono in contraddizione, ma il volontariato deve essere sempre qualificato. Facciamo un esempio: la persona che pulisce la Chiesa e lo fa senza voler essere compensata, deve senz’altro essere in grado di pulire bene. Un parroco non accetterebbe una volontaria che pulisce la Chiesa e che però lascia la chiesa più sporca di prima. Allora, perché dobbiamo accettare dei volontari che prestano un servizio liturgico senza saper cantare o senza saper suonare? Perché non si capisce che la mediocrità nella musica per la liturgia non colpisce soltanto coloro che la provocano ma anche coloro che la subiscono?
Se si agisce secondo giustizia, allora il volontariato deve essere esteso anche a tutte le altre categorie che prestano servizio presso le nostre chiese. Quindi, anche i fiorai, i sacrestani, gli elettricisti, gli sacerdoti… Perché tutti questi non accettano anche di svolgere il loro servizio qualificato ma senza avere nessun compenso? Certamente perché è una cosa ingiusta, come voi sicuramente penserete. Ma ci sono persone che sono molto brave a fare le caritatevoli ma con i problemi degli altri. Quindi, i poveri musicisti, “che tanto si divertono”, devono fare tutto gratuitamente, mentre agli altri, come è giusto, si dà un qualche salario, la previdenza sociale, e tutte quelle cose che sono di diritto per un lavoratore. Alcuni possono dire che il musicista non presta un servizio così continuativo, ma questo non dipende dal musicista stesso, dipende spesso da sacerdoti che non lo vogliono impiegare. In realtà, in un tempo passato, il musicista prestava servizio quasi giornaliero, come succede per alcune cattedrali inglesi ancora oggi. Alcuni dicono: “quello che si è ricevuto gratuitamente, il talento, deve essere dato gratuitamente“; ma allora, se accettiamo questo questa frase, deve essere estesa a tutti gli altri. Anche coloro che hanno ricevuto la vocazione sacerdotale, il talento di saper coltivare bene i fiori, o di aggiustare dei componenti elettrici, dovrebbero offrire il loro servizio gratuitamente quando è per la Chiesa. Ma no, io non penso Dio chiedo questo, perché questo è il frutto di un cristianesimo spiritualistico, un cristianesimo che non tiene conto della realtà delle cose, della materialità delle cose che non è in contraddizione con lo spirito, in quanto noi siamo fatti di anima e corpo, non soltanto della prima.