Non c’è dubbio sul fatto che esistono dei brani musicali che tradizionalmente vengono associati a certe feste liturgiche e che anche per questo hanno conosciuto, almeno in passato, una grande notorietà. Fra questi esempi possiamo annoverare l’inno Veni Creator Spiritus, che nella sua melodia gregoriana ancora possiamo sentire risuonare in varie occasioni e non solo intorno alla festa di Pentecoste. È in effetti usato in tutte quelle occasioni in cui si invoca l’assistenza dello Spirito Santo per qualche occasione particolare.
Il canto del Veni Creator Spiritus è indicato per l’ufficio divino durante la Pentecoste, anche se a volte ci capita di ascoltarlo durante la Messa, dove è invece prescritta la sequenza Veni Sancte Spiritus. È attribuito a Rabano Mauro, vescovo di Magonza nel IX secolo e grande protagonista della cultura carolingia. L’inno, nell’ottavo modo gregoriano, ha un testo molto bello e denso teologicamente, in cui sembra quasi l’autore faccia a gara con sè stesso per trovare appellativi adeguati allo Spirito Santo, chiamandolo “dolce consolatore, dono del Padre altissimo, acqua viva, fuoco, amore, santo crisma dell’anima, dito della mano di Dio...”. In una strofa si chiede allo Spirito di essere luce per l’intelletto e di infondere amore nei nostri cuori, rafforzando i nostri corpi deboli con la Sua ferma virtù. Il cardinale e ex predicatore della casa pontificia Raniero Cantalamessa dice:
“Nell’inno più famoso allo Spirito Santo, il Veni creator, composto all’inizio del sec. IX, si chiede allo Spirito Santo di “accendere una luce nella mente” (accende lumen sensibus). (La parola sensus non indica qui i sensi esterni, ma, come spesso nel latino ecclesiastico, la mente, l’intelligenza, il pensiero)”.
Insomma, si chiede allo Spirito Santo di illuminare la nostra mente e sorreggere il nostro cuore.
Ci sono state, accanto a quella nel repertorio gregoriano, tante versioni di questo inno in musica spesso polifonica. Per me una delle più belle è quella di Domenico Bartolucci (1917-2013), già maestro della Cappella Sistina e cardinale. Una versione per Soprani, Tenori primi e Tenori secondi, Baritoni e Bassi, quindi a cinque voci miste. Si ascolta spesso questa versione dell’inno nelle cerimonie papali, come nel recente conclave, una versione che prende spunto dalla melodia gregoriana in cui vengono fatte cadere alcune note (le “male note”, cioè note non essenziali per l’impalcatura melodica, un uso in voga fin dal Rinascimento).
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